Recensione: To Dimension Logic (reissue)
Avrete di certo, nella vostra compagnia di amici metallari, un esperto di progressive; non un esperto qualsiasi, intendo dire, ma uno di quelli che riuscirebbe a “disossare” gli attributi anche alla più paziente delle persone.
Ecco, oggi parliamo di un elemento del genere, che ci deve essere in ogni comitiva che si rispetti e dal quale tutti rifuggono ogni volta che i Dream Theater passano in Italia. Potete sempre vedere un tal curioso figuro verso il centro della platea, immobile e a braccia conserte; durante il concerto non fuma, non beve, non parla e a malapena respira. Non ha mai preso uno strumento in mano in vita sua, ma se una scala lidia è suonata da Petrucci a 221 di metronomo quando su disco è a 220 bpm, potete stare tranquilli che la cosa è notata con sdegno dal nostro amico e poi riportata al pub la sera dopo (ogni tanto deve pur bere…). Avete inquadrato il soggetto, no? Benissimo. Un bel giorno arrivate al pub e già da venti metri di distanza si può sentire l’assolo di “Home” eseguito a voce e con annesso rigonfiamento dei pantaloni del Paziente A neanche fosse fratello di Slothrop. Vi avvicinate decisi, col passo di Psycho, nel frattempo l’assolo finisce e l’uditorio ascolta rapito: «Al terzo minuto dell’esecuzione di “The Count Of Tuscany” ho notato che Petrucci aveva un brufolo schiacciato (il puntino era rosso) e Mangini un principio di psoriasi, vi rendete conto?» Procedi con fare minaccioso, prendi un bel respiro, il tuo petto si gonfia e ti senti alto tre metri, quando allunghi il tuo braccio destro, protendi l’indice e fai toc toc sulla spalla del malcapitato esclamando: «Tu che sei un esperto, hai visto che la Century Media ha ristampato To Dimension Logic dei Vauxdvihl?» Gelo, tipo Trondheim a dicembre o le Svalbard a gennaio. Il paziente ti guarda con movenze e sguardo infastidito, neanche ti saluta, sorrisino di circostanza e si gira continuando come se niente fosse accaduto. «Dov’ero rimasto? Ah si, lo sapete che il pizzetto di Rudess misura ben 13.5 centimetri? Se lo paragoniamo a quello di Kerry King, ad esempio, si può notare che…».
Toc, toc: «To Dimension Logic è un capolavoro, di quelli grossi anche, e i Vauxdvihl sono un gruppo australiano misconosciuto ai più. Un gruppo da un solo squillo in carriera, ma di quelli memorabili, presente in molte classifiche dei dischi più acclamati di un intero genere, se non di sempre. Il prog. è un calderone che nasconde tante ciofeche, sì, ma anche parecchi crimini: dischi come Kadath Decoded, The Edge, The Towers Of Avarice, A Sceptic’s Universe, e via dicendo, finiti ingiustamente nel dimenticatoio, tanto quanto amati da quei pochi “eletti” che li conoscono. Sono ancora nell’ombra, ma attendono giustizia.
Menzione d’onore, quindi, alla Century Media che decide di puntare su un tale platter e dargli finalmente la distribuzione e la luce che merita (la prima edizione costa come un rene e mezza cistifellea, l’altra metà serve per le spese di spedizione!). Nella versione proposta è presente praticamente la discografia della band: To Dimension Logic e i due successivi Ep che non tratteremo in questa sede.
Orbene, ecco il domandone: che musica fanno i Vauxdvihl? Partiamo prima da un presupposto, che è quello della “dissonanza”. GLi australiani non puntano né su una tecnica, sparata fuori dagli amplificatori a tutte le velocità possibili, né su di un comparto che potremmo definire easy listening o ruffiano. La proposta dei Vauxdvihl può essere accostata a quella di Spiral Architect, Psychotic Waltz, Fates Warning e, lontanamente, ai Queensrÿche.
To Dimension Logic ha vent’anni esatti, ma suona fresco ancora oggi ed è terribilmente attuale. Non è il caso di spulciarlo traccia per traccia, perché sembrerebbe quasi di fargli un torto; è giusto che sia l’ascoltatore ad avvicinarsi a senza essere istruito al millimetro. Il disco si orienta praticamente in toto su mid-tempo e sulla dissonanza, soprattutto a livello vocale, di cui possiamo assaporare una prestazione spettacolare sotto tutti i punti di vista. Non è finita qui: la sezione ritmica non è funambolica, ma svolge il suo lavoro più che egregiamente, le chitarre offrono partiture semplici ma di gran gusto e classe.
Le tracce proposte sono otto, di cui sei sono canzoni vere e proprie: la prima e la terza in tracklist, infatti, sono, rispettivamente, un intro di batteria elettronica, tastiera, chitarra e voce (magnifica), e un brano di chitarra e tastiera che potrebbe vagamente ricordare la cronologicamente successiva “Deep Peace” di Devin Townsend in Terria. Il disco dura circa quaranta minuti, ma è giusto così: dice tutto quello che deve dire senza mai stancare e ha una curva di apprendimento molto alta.
L’opera dei Vauxdvihl presenta diversi livelli difficoltà, e, a un primo approccio, non lascia trasparire praticamente niente. To Dimension Logic lo si capisce fino in fondo dopo tantissimi ascolti, solo allora smette di essere cervellotico e si schiude in tutta la sua bellezza. Questo tipo di prog. è ancora oggi un lido inesplorato, forse a causa di un mancato arrivo nel mainstream dei suoi gruppi portanti e di una scarsa accessibilità di base, che finisce per allontanare gli ascoltatori più superficiali e poco pazienti. È ancora un sottogenere in grado di sfoggiare più capolavori, che cloni senza senso, e gode di picchi d’emotività difficilmente imitabili. Si può dire che l’opera dei Vauxdvihl non può mancare nella collezione di dischi di qualsiasi appassionato di progressive di un certo tipo e va considerata come un’entità praticamente imprescindibile.
To Dimension Logic risponde anche in maniera veemente all’annosa, superata, anacronistica e inutile affermazione che considera pietre miliari solo quei dischi universalmente conosciuti ai più e fatti passare come Storia. Siamo qui a parlarne, dopo vent’anni, come una forma di espressione che ha ancora margini di sperimentazione e ampliamento. Questo album si va a unire, dunque, a tutti i piccoli grandi prodotti degli anni ’90 che inspiegabilmente sono stati relegati all’oblio e oggi si vengono a conoscere, solamente grazie a qualche label lungimirante che li ristampa o a un flebile passaparola che cerca di dar loro valore. Oggi ci si schermisce spesso dietro il “tutto è già stato scritto”, per giustificare gravi falle compositive: i Vauxdvihl, invece, avevano le idee chiare, tra l’altro sfruttate benissimo. E che idee, provare per credere.»
Questo è quello che avresti voluto dire. Invece ti chini, raccogli il plettro perso dal “maschio alfa” e glielo porgi amichevolmente. Lui addirittura ti abbraccia ringraziandoti sonoramente, insomma, è un cimelio di quelli lanciati da John Petrucci a fine concerto! Quindi ti giri e te ne vai, probabilmente parlando dei Vauxdvihl avresti solo dato aria alla bocca. Ciò che né tu né il soggetto sapete, però, è che il plettro è un tarocco perso da un certo Salvatore di Crotone, maniaco, che soffre di sdoppiamento di personalità e crede di essere John Petrucci, per cui si fa costruire bei plettri griffati.