Recensione: To Follow Polaris
Tredicesimo studio album per Andy Tillison che dopo Songs from the Hard Shoulder ripropone la sua creatura musicale come one man band, in accordo con gli altri membri e considerato il poco tempo a disposizione tra i molti impegni in tour (anche con i The Anchoret). To Follow Polaris dunque una creatura completamente plasmata dalla mente del mastermind inglese. Sarà riuscito a eguagliare il valore degli ultimi dischi che vedono Luke Machin alla chitarra, Theo Travis al sax e Jonas Reingold al basso?
Veniamo alla disamina dei brani in scaletta. I primi due pezzi durano complessivamente venti minuti, come da tradizione prog.
La title-track “The North Sky” ha delle buone melodie, i sintetizzatori regnano sovrani (con richiami ai padri putativi The Flower Kings), ma si sente la mancanza di un guitarwork incisivo e di un basso pulsante. “A “Like” in the Darkness” propone un sound che vira su tinte più oscure e spigolose; il break a metà brano è di rara delicatezza e riporta le lancette indietro nel tempo fino al lontano 2003, anno del debutto dei The Tangent.
I successivi due pezzi sono altrettanto ambiziosi e raggiungono quasi la mezzora di minutaggio. “The Fine Line” ha un andamento cadenzato abbastanza godibile; le parti di batteria sono essenziali, a stupire ci pensano le tastiere distorte in stile Caravan. Il piatto forte è semmai la suite seguente “The Anachronism”, venti minuti di follia progressive all’ennesima potenza. S’inizia con una parte strumentale dalle mille sfumature e cambi di tempo (interessante confrontarla con le tante overture di Neal Morse per comprendere la differente angolatura compositiva dei due mastermind). Fino a metà suite non ci sono altre sorprese, poi tuttavia iniziano ad aumentare le dissonanze e i momenti più tirati, presenti forse in modo eccessivo. Per fortuna nel finale si torna su lidi canonici e il pomp rock di matrice progressive si impone nuovamente.
Il disco si chiude con la breve “The Single (From a Re-Opened Time Capsule)”, vicina agli Yes ma con aggiunte pazzerelle di Tillison. Ricordiamo, infatti, che i The Tangent non sono solo famosi per le loro composizioni chilometriche ma anche per singoli più accessibili (si può citare ad esempio la hit “The Sun In My Eyes” dal loro capolavoro A Place In The Queue).
Come bonus track troviamo una versione accorciata di “The north sky” e “Tea at Betty’s”, altro elefante nella stanza, assolutamente da non perdere. Si tratta infatti di una improvvisazione da 17 minuti che spazia dal jazz al prog (ma anche al rock tout court) con estrema naturalezza e sprezzatura. A tratti viene in mente l’altro azzardo, quello dei già citati The Flower Kings che in Unfold the future inserirono in scaletta “The Devil’s Danceshool”, folle strumentale con tanto di tromba imbizzarrita.
In definitiva il nuovo parto in casa The Tanget convince ma non appieno. Tillison voleva mettesi alla prova con un’uscita solista e lo ha fatto in modo discreto. L’esperimento da one man band tuttavia ha alcuni limiti oggettivi, speriamo ritorni a coinvolgere la line-up cui siamo abituati prima possibile.