Recensione: To Perceive Is To Suffer
Nuovo album per i Contrarian dello Stato di New York, progetto nel quale milita il faraone George Kollias (per quei pochi che non lo sapessero, ex Nile). Dopo il più che discreto esordio “Polemic” (2015), già successore dell’EP “Predestined” (2014), il quartetto (ex sestetto) cosmico prosegue il suo viaggio tra ammassi stellari e nebulose intergalattiche, alla scoperta di nuove frontiere del death metal d’avanguardia. In realtà, così nuove queste frontiere non sono, nel senso che se nomi quali Cynic, Pestilence, Dead Brain Cells, Obliveon e Nocturnus non avessero inaugurato quelle rotte spaziali già diversi lustri or sono, probabilmente il viaggio dei Contrarian avrebbe avuto notevoli difficoltà in più nella tracciatura delle proprie mappe sonore. Il lascito e l’ispirazione delle band appena menzionate è evidente, in alcuni casi davvero marchiano (su tutte i Cynic ed i Pestilence di “Testimony Of The Ancients” e “Spheres“).
Rispetto a “Polemic” i Contrarian aprono ancora di più il proprio spettro sonoro; benché il death metal progressivo – ed a tratti anche qualche sfuriata ai limiti del black – funga da tappeto sonoro di tutta l’architettura eretta dagli americani, sul loro spartito si dispiegano tantissime altre sfumature, snocciolate sapientemente nel tentativo di arricchire la proposta complessiva. Si gioca di contrasti, mettendo accanto doppia cassa, riffoni magnetici e timbrica vocale “extreme” con improvvisi arpeggi, tempestati di effetti armonici e psichedelici, e sciolti dentro eco provenienti dall’infinito universo nel quale naviga l’astronave dei Contrarian. “At Fate’s Hands” poi costituisce un caso a sé; una composizione quasi del tutto avulsa dallo standard di aggressione della band, affidata al cantato liquido dello special guest Paul Masvidal. Un piccolo momento di decompressione, prima di infilarsi nuovamente la tuta antigravitazionale e lanciarsi nello spazio per le ultime due tracce in scaletta.
Molto intelligente anche il contenimento della durata della track-list. Anziché dilungarsi in un minutaggio estenuante ma molto “autoriale”, i Contrarian badano al sodo; non risparmiano suggestioni, atmosfere ed ambientazioni di grande rilievo, tuttavia al contempo non ritengono che per raggiungere tale obbiettivo sia necessario pubblicare musica fiume che lasci presagire chissà quale flusso di coscienza intellettuale. Nei suoi 34 minuti “To Perceive Is To Suffer” (massima filosofica assai nichilista ma – ahimé – estremamente veritiera) dice tutto quello che c’è da dire, mette ogni pezzo al posto giusto, fa sfoggio di gran tecnica ma mai onanistica e fine a se stessa. Indovina soluzioni magari non originalissime ma comunque sempre accattivanti e brillanti. Peccato per una produzione non proprio da serie A, che ingarbuglia un po’ i suoni, soprattutto per quanto riguarda basso e batteria (stranamente, considerato che proprio alla batteria c’è una superstar).
Marco Tripodi