Recensione: To The Nameless Dead
Un disco tragico, il nuovo Primordial:
e non per la qualità, tutt’altro, per il suo volere essere tragico. I morti
senza nome, a cui è dedicato, appaiono in ogni singola nota, in ogni singola
pagina del ricco libretto nell’edizione speciale del CD, dando significato a
ciascun vocalizzo di Alan Nemtheanga, mai sofferto quanto oggi.
Ma non è solo tragedia: è l’invito a ritrovarsi, a
riscoprire l’anima, l’identità perduta per cui tanti hanno combattuto, e perso
la vita, in passato. “Mi ritrovo di fronte a monumenti, epitaffi e
statue, quando percorro le strade delle città nel mondo: uomini e donne le cui
parole e azioni sembrano dimenticate, perse in un mondo moderno che ci insegna
che non dobbiamo avere radici né legami col passato”.
Questo ci dice Alan introducendo l’album, e da qui
scaturisce un’opera tanto passionale: che non è solo musica, ma si ferma prima
di diventare ideologia. Prima di tutto è pensiero, esposto secondo le regole
della composizione musicale, secondo quel metal doomeggiante, epico, ancora un
po’ black, di cui soprattutto il chitarrista Ciáran MacUiliam si fa
carico; ed è arte, vera e sanguinante, nella ripetizione di strutture semplici,
a volte ossessive ma sempre vibranti. “Where is the Fighting Man?”
si chiedono i Primordial nel
chorus della prima Empire Falls, e la loro risposta è un’altra domanda:
potremmo essere forse noi? E come, cosa e per cosa dovremmo combattere?
Che le loro idee siano agli antipodi del fanatismo è
evidente anche nella sola Gallows Hymn, nella sua melodia cantilenante, a
spirale, e nel suo rigettare le conseguenze della fede cieca in ina causa che si
preannuncia, proprio per questo, persa; una causa che ha fatto combattere
schiere di persone, nel corso della storia, verso il sacrificio per la creazione
di uno stato, di una nazione, di una terra per il proprio popolo. E ci si chiede
se ne sia valsa la pena.
La decadenza è un altro tema fondamentale, e non
potrebbe essere altrimenti, di un disco che vuole dipingere il nostro presente,
non solo cantare il nostro passato: un disco che si chiude con la dichiarazione
netta, irrefutabile, di No nation on this Earth; che sa tributare il
giusto onore, con momentanea leggerezza lirica, a chi ne apprezzerà il
contenuto, con Heathen tribes; e che si interroga sulla mortalità umana,
in Falures burden.
Ma la decadenza trionfa in un brano come As Rome
burns, capolavoro di questo To the nameless dead, suo vero
manifesto e simbolo: l’epos già presente negli album precedenti qui raggiunge
soglie mai toccate sinora, sino al coro che sale e infine rimbomba: a voi il
compito di oltrepassarne la metafora.
Inutile dire che potremmo considerare To the
nameless dead come “il nuovo disco dell’unica band metal irlandese
di un certo nome”, commettendo un peccato di superficialità di dimensioni
cosmiche: in realtà questo è un album fatto per restare, esattamente come il
suo predecessore, che riesce persino a superare. Non è un disco da sbattere in
una cartellina insieme a tanti altri mp3, è un album da possedere nella forma
più completa possibile, da capire fino in fondo e da conservare come
significativo capitolo della propria collezione, negli anni. Mancasse anche solo
un elemento, dall’artwork ai testi, dalla confezione alla qualità sonora, e
perché no, persino al CD live (in verità solo una chicca per affezionati)
allegato all’edizione speciale, beh, sarebbe inutile scrivere altro.
Sing, sing, sing to the slaves that Rome burns.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Empire Falls 08:02
2. Gallows Hymn 05:55
3. As Rome Burns 09:15
4. Failures Burden 06:37
5. Heathen Tribes 08:18
6. The Rising Tide 01:33
7. Traitors Gate 06:49
8. No Nation On This Earth 08:13
Bonus CD (live 2005 – Rock Hard Festival):
01. The Golden Spiral
02. The Gathering Wilderness
03. Sons Of The Morrigan
04. The Coffin Ships
05. Song Of The Tomb
06. Gods To The Godless