Recensione: To Usurp the Thrones
Old school death metal e ancora old school death metal, proveniente dai tanti Maestri svedesi, i quali la Storia della musica ha inglobato in sé come una delle rappresentazioni più importati ed evidenti ma soprattutto ricche di assoluta genialità.
È ovvio che da lì non provenga soltanto il succitato sottogenere, anzi. Tuttavia per i Feral è ciò di cui si spalmano la pelle, colorano l’anima e il attivano cuore. Un Amore nato nel 2007 e che ha prodotto quattro disco di cui l’ultimo, “To Usurp the Thrones“, è l’oggetto di questa recensione.
Si scrive di sentimenti di grande affetto poiché, per cui scrive, il connubio Feral / old school death metal è uno dei più riusciti in assoluto. Però, attenzione, non si tratta di ripetere pedissequamente i dettami fondamentali, magari modificandoli a piacere. No, per assurdo questo è un caso in cui una foggia musicale antica compie un passaggio evolutivo, un passo in avanti, insomma. Una diversificazione, seppure leggera, dal solito tran tran.
Ciò potrebbe sembrare un inconcepibile ossimoro ma così non è, poiché il combo di Skellefteå prende in mano i propri strumenti musicali per allungare in lungo e in largo l’immaginaria struttura di base che regge l’old school, e si ribadisce old school, arricchendola di elementi non sempre se non raramente presenti in campo.
Prima di tutto, e non poteva essere altrimenti, una robusta iniezione di potenza porta il sound ad arrivare livelli di assoluta brutalità: la sezione ritmica, di solito ordinaria nel battere quattro quarti a profusione, in questo caso fornisce un spinta propulsiva immane, tale da scatenare immense ondate di blast-beats sì da entrare nel reame dell’hper-speed, ove si fa tutto meravigliosamente confuso a causa delle abnormi sollecitazioni causate dagli altissimi valori di watt.
Questa circostanza farebbe pensare a un allontanamento dal genere primigenio ma così non è perché il flavour che permea “To Usurp the Thrones” appartiene sempre e comunque alla vecchia scuola. Quello stile, cioè, che rimanda ai primi anni ’90 e che fa del sound un agglomerato di fango, pozze putrefatte, animali striscianti e un perdurante odore di marcio, corrotto, disfatto.
Qui c’è tutto quanto sopra, grazie ai due stacanovisti chitarristi, impegnati in un riffing sterminato, di cui non si vedono i contorni. Ma anche vario, complesso, con i due strumenti che amano frequentemente scambiarsi gli assoli (“Bound to the Dead“, “Decimated“), disegnati sullo spaventoso muro di suono generato da Markus Lindahl e Sebastian Lejon. Del resto, è proprio qui che questi ultimi calibrano le tonalità per soffiare vorticosamente gli effluvi della decomposizione.
David Nilsson, il cantante, offre una prestazione ordinata, pulita – si da per dire – rispettando in toto il compito assegnatoli dalle regole dell’old school metal. Benché privo di particolare novità, il caratteristico stile stentoreo prodotto a pieni polmoni (gli inizi del death metal non contemplano il growling), fa la sua bella figura comunque, legando il suono complessivo dell’ensemble scandinavo.
Quando una parte di qualcosa è buono, difficile che il resto non lo sia. È così è per i Nostri, capaci di demolire l’apparato uditivo con alcuni brani assolutamente violentissimi (“Stripped of Flesh“). Fattispecie che non sempre anima i dischi della medesima forma artistica. Insomma, che l’old school death metal non sia fra le emanazioni più devastanti del metal estremo si sa. I Feral, invece, provano a inserire questo fattore nella loro musica, e ci riescono perfettamente. Con ciò, chiudendo un’altra terremotante song che ha scosso il terreno a inizio LP: “To Drain the World of Light“. E così il cerchio si chiude.
Total destruction!
Daniele “dani66” D’Adamo