Recensione: Tomatized
Ed ecco il Regno dei pomodori ciclopici, destinati ad ampliare i propri territori triturando carni e ossa per diventare gli unici abitanti della Terra.
Humor, tanto humor, nei testi dei Corpsefucking Art, combo nostrano che ama, oltre ai film horror, non prendersi troppo sul serio, perlomeno a livello testuale. Del resto, come si suol dire, «gente allegra, il ciel l’aiuta»; per cui non si può che apprezzare il taglio sì divertente ma non banale dato alle tematiche in gioco (“Dead Sushi“).
Per il resto c’è poco da scherzare: i romani sciorinano una miscela devastante di brutal death metal e grindcore. Il disco dura mezz’ora, quanto basta, però, per macellare le membrane timpaniche. Il sound, ben prodotto, restituisce una potenza devastante grazie al perfetto amalgama fra i membri della band, molto molto bravi a eseguire senza macchia uno stile apparentemente facile da mettere giù, quanto invece complesso e vario.
Molto, vario. Grazie al preciso e puntuale lavoro del bassista Marco De Ritis e del tentacolare batterista John De Bello, il ritmo non è mai uguale a se stesso; proponendo al contrario una selva di pesanti rallentamenti (“A Nightmare on Tomator Street“), di violentissime accelerazioni sino a scavalcare la barriera dei blast-beats.
Davvero impressionante l’opera dei due chitarristi Andrea Corpse e Mario Di Giambattista. Bisogna subito rilevare che non esistono assoli e cose del genere. Solo ritmo, tanto ritmo, esplicitato da una miriade di riff sparati a raffica alla velocità del suono. Il muraglione di suono che si crea è immenso, massiccio, senza fine. Con ciò, dando all’LP la forza d’impatto di un carro amato in piena corsa.
C’è qualche inserto ambient, come l’orripilante risucchio che caratterizza l’incipit dell’opener nonché title-track “Tomatized“; oppure richiamo al cinema, come la scena iniziale di “Cliffhanger – L’ultima sfida”, con Sylvester Stallone (1993) in “Escape from Alpha City“. Non male neppure l’inizio della già citata “Dead Sushi“, in cui si presagisce la fine che faranno i poveri bocconcini di pesce crudo.
Il che fornisce a “Tomatized“, il platter, pure nel caso del mood, una gran varietà di sensazioni, che esulano da un noioso e monocorde concept di concetti espressi con autorevolezza, realizzando al contrario una ridda di passaggi da gustare con calma.
Ultimo ma non ultimo per importanza è Frank Moretti, la cui ugola, al contrario della musica, dà vita a un growling piuttosto lineare e apparentemente semplice. Ogni tanto si percepisce la tentazione di suinare ma ciò non accade se non in qualche raro istante, dato atto della serietà delle linee vocali e della loro integerrima tendenza a non modificarsi in corso d’opera.
Detto così sembrerebbe che tutto quanto sopra osservato sia un difetto ma invece è l’esatto contrario. Moretti, difatti, è colui che tratteggia il collante che tiene tutto assieme, colui che consente l’esistenza dell’amalgama più sopra citato. Senza il suo apporto, insomma, il resto della formazione capitolina si sfalderebbe senz’altro in una pozza di maleodorante putridume dal sentore di pomodoro.
Probabilmente “Tomatized” non passerà alla Storia del metal come opera rivoluzionaria. Tuttavia, i Corpsefucking Art sono assolutamente da annoverare come un ensemble dall’alto tasso di bravura nel restituire uno stile piuttosto originale, questo sì, soprattutto per quanto riguarda i testi delle canzoni.
Insomma, se si vuole passare un’oretta di sano divertimento spaccandosi le orecchie, “Tomatized” è l’ideale compagno di viaggio.
Daniele “dani66” D’Adamo