Recensione: Tomb of the Ancient King

Di Giuseppe Abazia - 2 Febbraio 2007 - 0:00
Tomb of the Ancient King
Band: Wormphlegm
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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82

Ci hanno messo poco, i Wormphlegm, a diventare uno dei gruppi più importanti e “famosi” (mi si passi il termine) il ambito doom: è bastato un demo nel 2001, e questo misterioso act era già diventato un culto. Act apparentemente composto da due soli membri di cui non si sa nulla, se non che uno di essi fa anche parte dei Tyranny (autentica colonna portante del funeral doom); act che si è sempre tenuto lontano dai riflettori, a partire dal metodo di distribuzione della propria musica (cassetta e cd-r in edizioni limitatissime per il demo, vinile sempre in tiratura limitata per il full-lenght), ma che paradossalmente è diventato uno dei più nominati. Sarà per la proposta musicale oltremodo estrema, sarà per l’indubbia qualità dei loro lavori, sarà lo status di culto che inevitabilmente porta una certa notorietà, ma i Wormphlegm rientrano di diritto fra i grandi nomi del doom attuale. Cinque anni dopo il loro esordio discografico, ecco finalmente il seguito: Tomb of the Ancient King.

Chi conosce il loro demo (il cui titolo completo è “In An Excruciating Way Infested With Vermin And Violated By Executioners Who Practise Incendiarism And Desanctifying The Pious”) probabilmente sarà già rimasto indelebilmente colpito da ciò che ha ascoltato, ma per chi non l’avesse fatto, è bene chiarire subito che i Wormphlegm sono uno dei gruppi più estremi dell’intero panorama metal. La base di partenza è il funeral doom, ma i Wormphlegm, messe da parte le tipiche atmosfere sofferte e nichiliste di questo genere, lo sviluppano portandolo su lidi mai toccati prima: la loro musica è una vera propria colonna sonora per uno scannatoio, la trasposizione in musica di ciò che si potrebbe sentire in un dungeon delle torture, l’espressione di un inumano sadismo da girone infernale perpetrato da cenobiti di Hellraiseriana memoria. Il gruppo, è evidente, mira a shockare l’ascoltatore, e non si pone alcun freno nel farlo, a partire da testi al limite del cattivo gusto e della blasfemia, passando per veri e propri assalti sonori di violenza, e finendo con atmosfere intrise di follia, di sporcizia, di orrore grandguignolesco.

Musicalmente, i Wormphlegm riprendono pesantezza e la lentezza del funeral doom, eliminano qualsiasi traccia di melodia, e irrobustiscono il tutto con sferzate di brutalità solitamente non presenti nel funeral. L’album è composto da tre canzoni, tre lunghissimi inni al dolore (nel senso più fisico del termine) e alla disprazione, che magari peccano un po’ per varietà, ma non sarà certo questo a scoraggiare chi apprezza il doom: d’altra parte lentezza e ossessività monolitiche sono da sempre uno dei punti cardine del funeral doom, ma se già il funeral è ostico di per sè, i Wormphlegm elevano all’ennesima potenza il lato più grezzo e brutale di questo genere. L’assalto sonoro perpetrato dal gruppo non conosce soste, non vi è un solo attimo di calma, ma solo riff pesantissimi e dissonanti, che escludono i già esigui sprazzi di melodia presenti nel demo, mentre una batteria cadenzata, ossessiva ed estremamente potente scandisce il lento incedere della musica. L’apporto vocale è costituito da un growl profondissimo e cavernoso, e da urla assolutamente disumane; le due voci si alternano e spesso si sovrappongono, e occasionalmente a far loro da sottofondo vi sono delle cantilenanti e ritualistiche vocals pulite, che donano al tutto un’atmosfera di blasfema sacralità . Probabilmente sono proprio le voci a distinguere maggiormente i Wormphlegm dal resto del doom e del funeral doom: raramente si era ascoltato qualcosa di così inumano, agonizzante e carico di malvagità.

Il quadro descritto non dovrebbe lasciare spazio a dubbi: i Wormphlegm sono una realtà abbastanza unica nel panorama doom, la cui unicità è costruita sull’estremizzazione ad oltranza delle caratteristiche fondamentali del funeral, il che li porta (paradossalmente) ad essere uno dei gruppi più originali del genere. Una proposta che, visti i suoi connotati, è idealmente digeribile da pochissimi, ma che saprà sicuramente saziare chi sia in cerca di una delle esperienze più pesanti e opprimenti che vi siano in musica. Un album che, nel suo piccolo, ha fatto e farà storia.

Giuseppe Abazia

Tracklist:

1 – Epejumalat Monet Tesse Muinen Palveltin Caucan Ja Lesse (30:15)
2 – Tomb of the Ancient King (13:18)
3 – Return of the Ice Age and the Tortyrant (17:32)

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