Recensione: Tome I: Apidae

Di Alessandro Rinaldi - 22 Giugno 2024 - 14:37
Tome I: apidæ
Band: Vigljos
Etichetta: Dusktone
Genere: Black 
Anno:
Nazione:
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73

Troppo spesso il metal viene associato a Satana: questo perché diversi gruppi hanno attinto a piene mani, con cognizione di causa o meno, a simbolismi e filosofie del cosiddetto sentiero della mano sinistra. Gli elvetici Vígljos, si discostano ampiamente da questo cliché focalizzandosi sul mondo delle api, con il suo matriarcato che vede al vertice del sistema l’ape regina. La band veste i panni di apicoltori per raccontarci storie di vita, ascesa e declino nelle loro modalità originali.

Per tradurre in musica questo concetto, i nostri tessono le loro trame in un contesto di forte richiamo medievale. Emblematico, da questo punto di vista l’artwork, che ritrae una scena di vita rurale, i cui protagonisti sono tre individui inquietanti vestiti di una tunica con una sorta di maschera in vimini che ha la duplice funzionalità di coprire e proteggere il volto dagli insetti. Lo stesso tipo di abbigliamento viene riproposto nel servizio fotografico promozionale: uno stile che ricorda, molto da vicino, quelli degli australiani Portal, con le dovute differenze “tematiche”.

Un altro richiamo al medioevo è celato nel retro del disco: infatti gli otto brani che compongono Tome I: Apidae hanno una numerazione romana invece di quella classica araba – che ricordiamo esser stata introdotta nel XIII secolo da Leonardo Fibonacci. Si parte con l’intro Rays of light in liquid gold e già qui ravvisiamo la prima particolarità, ovvero l’utilizzo del mellotron, strumento particolarmente in voga negli anni ’60-’70, che dà un tocco decisamente retrò; il motivo principale è disturbato da un ronzio di sottofondo, quello, appunto, delle api che volano. I  Vígljos partono forte con Sweet Stings, pungente e pavidamente raw, molto veloce per gli standard del disco; lo screaming si fa graffiante e disturbante, come quello di un’anima torturata all’Inferno – e questa tipologia di cantato sarà un po’ il leitmotiv di tutto il disco. Con The apiarist e Swarming, i Vigljos puntano più sul downtempo e le atmosfere cupe e opprimenti. Dance of the bumblebee è una composizione strumentale costruita attorno ad un riff molto orecchiabile che ha la capacità di entrare facilmente nella testa dell’ascoltatore. Riding the hive è il brano più complesso, con un groove inziale molto convincente, e cambi di velocità particolarmente riusciti. Con Vigljos si torna alle origini, alzando la velocità con il tremolo, il tutto condito da una drammatica epicità che dà spessore alla canzone. Chiude la malinconica To die in a flowerbed, che ricorda molto Dance of the bumblebee e che potrebbe essere considerata una lunga e malinconica outro.

I 42 minuti di Tome I: Apidae scorrono in modo decisamente piacevole, tra vari diversivi, come ad esempio The apiarist e Swarming. Il sound è molto acido, raw, con una brillante quanto semplice produzione lo-fi, che fotografa lo spirito agreste di questo lavoro ed enfatizza il concetto alla base dello stesso, creando una piacevole connessione tra i due aspetti; così come le chitarre, che a volte, sembrano quasi ronzare. Lo screaming, poi, è una miglioria accessoria: acido, dissonante e a tratti disturbante, è un elemento che aggiunge una peculiarità che rende i Vigljos  una band facilmente riconoscibile nel panorama underground. Va anche detto, però, che gli elvetici fanno vedere le cose migliori proprio quando si alzano i giri e si fanno pungenti: Sweet stings, Riding the hive e Vigljos sono brani di alto spessore che lasciano intravedere quanto siano ampie le loro  potenzialità compositive.

Tome I: Apidae resta comunque un esordio davvero convincente, un disco ebbro di personalità e sperimentazioni particolarmente azzeccate, come ad esempio l’utilizzo del mellotron che dà una profondità concettuale a quanto proposto dai Vígljos, dando quel tocco medievale, cupo e malinconico che elevano il disco.

Disturbanti, come solo le api sanno essere.

Bravi.

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