Recensione: Too Heavy to Fly
Per poter apprezzare appieno l’ultimo nato in casa Vanessa, probabilmente bisogna dimenticarsi di “Vanexa” del 1983. Il gruppo di Savona, capostipite dell’Italian way of HM degli anni Ottanta, con il disco d’esordio aprì la strada a molte altre formazioni tricolori. Il suono durissimo di quell’album, fottutamente british nel cuore e nell’animo, costituì un unicum in quel magico periodo. Altre band avevano sfornato dei vinili di musica dura, in ambito nazionale sino a quel momento, ma l’imprinting UK di “Vanexa” nessuno lo poteva vantare. Un lavoro “sanguinolento”, così come l’ha definito durante la prima puntata del mio Speciale sull’HM italiano d’antan il fondatore Sergio Pagnacco, sugli schermi di Rock Tv, nel 2006.
La carriera dei Vanessa da Savona poi proseguì – il nome divenne Vanexa (Qui intervista) con la ‘X’ non appena decisero, a inizio anni Ottanta, di indurire anche il moniker… – con il degno Back from the Ruins, meno intenso del predecessore ma comunque metallico quanto bastava, nel 1988. Già nel 1994, con il terzo capitolo della propria discografia, virarono verso sonorità più morbide, dando la possibilità a un giovanissimo Roberto “Rob Tyrant” Tiranti di godere di un palcoscenico collaudato per il tramite di Against the Sun. Poi l’oblio e il ritorno di qualche anno fa, suggellato dall’album dal vivo Metal City Live, un buon disco in grado di dare un’idea dell’onda d’urto sprigionata dai Vanexa sulle assi di un palco così come la compilation 1979-1980 raccoglieva il meglio della band quando ancora si esibiva in lingua madre.
Ma veniamo ai giorni nostri, con una formazione che vede, accanto alle due vecchie Trèuggie Sergio Pagnacco (basso) e “Syl” Bottari (batteria), fondatori del gruppo sulla fine degli anni Settanta, il fido Artan “Tani” Selishta alla chitarra, affiancato nientepopodimeno che da un idolo ligure della sei corde: Pier Gonella, già ascia martoriatrice dei Necrodeath. Last but not Least la new entry Andrea “Ranfa” Ranfagni dietro al microfono, con un passato negli Hyaena.
Too Heavy to Fly griffato Punishment 18 Records è l’ultimo loro parto affacciato sul mar Ligure e si presenta in un bel cartonato a due ante, una suggestiva foto della band in bianco e nero all’interno di un edificio decadente e un libretto di dodici pagine con tutti i testi e l’immagine del gruppo nelle due centrali.
Musicalmente recensendo, curiosità mista a stupore accompagna necessariamente l’azione che porta a premere il tasto “Play”, vuoi per il blasone dei Vanexa stessi, vuoi per l’apporto di dei nuovi musicisti in seno al combo di stanza a Savona. Come scrivevo nell’incipit è consigliato togliersi dalla capoccia sonorità quali quelle scaturite trentatré anni fa da pezzoni del calibro di 1.000 Nights e M.C. Rockers, solo per fermarsi a due di numero, prima di affacciarsi all’opener del disco costituito dalla title track.
L’attacco dei Vanexa 2016 è deciso ma non devastante, mirato ma senza scuoiare i padiglioni auricolari, in altre parole, come scrivono “quelli che ne sanno”, più “adulto”. Dieci i brani in programma per tre quarti d’ora scarsi di musica e uno special guest davvero special guest: Ken Hensley dei mitici Uriah Heep alle prese con le tastiere del brano The Traveler. Too Heavy to Fly – il pezzo – mostra un gran lavoro di asce e si staglia in testa per passaggio che include il coro a ripetere il titolo della canzone stessa.
Il legame con l’ingombrante passato è garantito attraverso il lavoro delle chitarre, sì chirurgiche senza per questo essere devastanti. L’approccio “duro ma gentile” con più di una strizzata d’occhi all’Hard Rock è altresì assicurato dall’ugola di Andrea Ranfagni, che infatti lungo le trame della delicata Kiss in the Dark – traccia vicinissima al feeling sprigionato dai connazionali Rain in occasioni similari – fornisce il meglio del proprio repertorio. L’accoppiata It’s Illusion/Paradox incarna l’ideale ponte fra i Vanexa che furono e la band di oggi, così come il duello fra le sei corde in apertura di Tarantino Theme.
Dopo essersi sparati più e più volte il disco, la sensazione è quella di trovarsi di fronte a un lavoro nel quale traspare la volontà, da parte dei musicisti coinvolti, di riporre da parte eventuali virtuosismi di sorta e concentrarsi sull’effetto-canzone, mettendo a terra i “cavalli” dei quali si è a disposizione. Quei cavalli accumulati dopo anni di esperienza sui palchi di tutta Italia – ma non solo – e tonnellate di ascolti disparati, sempre in ambito comunque Rrrrrock!
L’intero “pacchetto” Too Heavy to Fly è supportato da una produzione di sicuro livello, che senza dubbio gli heavy metal veterans since 1979 si meritavano a prescindere.
Whellcome back!
Stefano “Steven Rich” Ricetti