Recensione: Topsy Turvydom
Ogni qualvolta una nuova band si presenti sotto la bandiera del ‘-*core’ e citi tra le proprie influenze musicali Lamb Of God, Pantera e Slipknot, spero che sia la volta buona che ‘una su cento ce la faccia’, tanto per scomodare ambiti (alquanto) disprezzabili. Con la speranza che il miracolo si celi dietro la copertina andiamo a scoprire i Magoa, band francese proveniente dalla capitale, reduce dall’EP “Animal” dello scorso anno. Addentrandomi in “Topsy Turvydom” avverto sin dal primo ascolto una sensazione di disagio, sarà perché mi porta molto indietro nel tempo per alcuni elementi che vedremo in seguito, sarà per i suoni, in particolare quello del rullante, che vada anche che in linea con il genere, ma (alle mie orecchie) risulta ‘plastificato’ all’inverosimile.
I pad che introducono l’opener “Ailleurs” sono rilassanti, e la batteria elettronica che sfiora l’etnico va in loro soccorso, ma è chiaro che è solo il pretesto per indagare più a fondo, così che il riff e l’andamento ‘metalcoreggiante’ rilascino le prime sensazioni, con la voce di Cyd in primo piano su un registro ‘urlato’, che denota un buon timbro e una buona carica. Dopo una nuova sezione di pad un coro che sembra arrivare dai Queen di “Radio Ga-Ga” è subito interrotto da un’ultima scarica adrenalinica che chiude questo primo brano tra sensazioni diverse. Andiamo avanti per capirci qualcosa in più; la prima parte di “Wall Of The Damned” oscilla tra un cantato alla Sebastian Bach, con tanto di ritornello anni ‘90; fortuna che qualche stop in tempi dispari lascia speranze per il proseguo, anche se prima del finale il botta e risposta tra il leader e il coro contrasta questa predisposizione positiva.
“Max Bet” alterna qualche sezione slow-time con altre spezzate, con un riffing alquanto scontato e qualche ‘effetto’ in aggiunta che non crea particolari suggestioni. L’intro di “Betraying Grace” potrebbe indurre ad abbandonare l’ascolto con i cori «Whoo-oo, Whoo-oo», fortuna che il riff ancora una volta ci fa cambiare idea, anche se i Nostri insistono ad alternare parti aggressive a questi ritornelli tristissimi, mentre il finale è degno di nota. Una sorta di continui cambi di umore anche nella successiva “Party Time”, in cui Cyd si imbatte in un clean melodico, che senz’altro sarà adatto ad un pubblico di teen ager, ma improponibile a chi vorrebbe ascoltare della buona musica ‘tosta’, nonostante qualche riff dell’accoppiata Vince/David in qualche modo risollevi il morale.
Il synth iniziale di “Eat You Alive” lancia un ritmo scontato sul quale Cyd, ancora in ‘versione’ Sebastian Bach (sull’omonimo degli Skid Row), cerca di stopparci continuamente all’ascolto. Ma il sottoscritto non si arrende e anche le urla che precedono una fase non ben identificata sono sopportate. “Estamos Locos” sembrerebbe farci entrare nel mondo della pazzia, ma neanche qui riusciamo a capire cosa di diverso il brano abbia dai suoi precedenti, se non per qualche nota di pianoforte che non dura per più di qualche secondo.
“Broken Record” insiste ancora su elementi anni ‘90, non tanto su quelli ‘buoni’, quanto quelli che ne hanno decretato la fine, ossia ritornelli melodici smielati e arpeggi scontati tra i riff (a volte atonali) e un accenno rap/hip hop (qualcuno li distingua al mio posto). La voce femminile sensuale che funge da intro di “Forgotten Saints” ancora una volta è un lampo di diversità nell’uguaglianza generale, sotto ogni punto di vista, nonostante qualche tempo dispari, tanto per allungare l’agonia e farci arrivare a fatica alla conclusiva “There Is No Tomorrow”, il cui titolo è molto chiaro e rispecchia davvero le sensazioni provate durante questi 40 minuti di sofferenza.
Ma un domani ci sarà, almeno per noi e per fortuna non per merito dei Mogoa, che standardizzano il discorso che ormai da (fin troppo) tempo permea l’ambito *-core, non sfruttando quella che è l’arma migliore, ossia la voce brutale di Cyd, mettendola da parte per improntarsi su un discorso da buona band per quattordicenni (non troppo esigenti e che vadano ben oltre l’apparenza).
Vittorio “versus” Sabelli
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