Recensione: Torn from the Jaws of Deaths
Ventisei anni di brutal death metal. Mica male, il traguardo raggiunto dai Severe Torture con il loro sesto full-length in carriera, “Torn from the Jaws of Deaths”. Concept-album su cui si riflette sugli omicidi e le torture perpetrate dalla follia delle religioni organizzate. Un argomento certamente non originale, nel campo del metal estremo, che però è alimentato continuamente da nuova linfa, anzi, nuovo sangue, specialmente in questo buio periodo storico in cui i terroristi religiosi mietono di migliaia di vittime in tutto il Mondo.
La distanza temporale che separa il 2024 dal 1997 fa sì che il combo olandese sia uno dei pochi act attuali a rispettare al massimo i dettami fondamentali del brutal. Poiché, ovviamente, oltre ad andare indietro nei lustri sino quasi a sfiorare gli anni in cui il brutal stesso è nato o, meglio, si è evoluto dal semplice death metal, è in possesso di un’enorme esperienza nel campo. Il che significa, in soldoni, l’aver passato migliaia di ore ad affinare sempre più uno stile che, oggi, non è erroneo definire perfetto.
Il che ha portato ad avere, oggi, una padronanza totale di ciò che esce dagli speaker, quando il prodotto è pronto per uscire sul mercato. L’esecuzione dei vari componenti è assestata su una qualità impressionante. Compreso quella l’ultimo arrivato (si fa per dire), e cioè il batterista Damiën Kerpentier, sostituto, dal 2018, dell’ormai leggendario Seth van de Loo. Un cambio che ha comunque determinato un’interpretazione del brutal più profonda, più complessa, più varia, rilevata l’enorme bravura di Kerpentier nel comprendere quale sia il ritmo migliore, in ogni istante, per spingere i Severe Torture al massimo della velocità possibile.
Una velocità che spessissimo deborda, allaga, inonda i roventi territori dei blast-beats ma non solo. Accelerazioni, rallentamenti, mid-tempo, up-tempo e tanto altro costituiscono un bagaglio ritmico che consente alle varie canzoni di essere particolarmente articolate (‘The Pinnacle of Suffering’), invece che apparire come semplici macigni di musica inintelligibile. Al contrario, tutto quanto è stipato in “Torn from the Jaws of Deaths” è leggibile ovunque, nel viaggio da ‘The Death of Everything’ a ‘Tear All the Flesh off the Earth’. Appare quindi normale asserire che nell’LP non ci sia nemmeno un millesimo di secondo in cui si abbia la sensazione che manchi qualcosa. Ascoltando con attenzione la spaventosa precisione delle battute del richiamato Kerpentier si comprende con facilità, quindi, perché il suo ingresso in formazione sia stato assolutamente rilevante nonché importante.
La formidabile, pazzesca ‘Those Who Wished Me Dead’, dal retrogusto thrash, è un esemplare dimostrazione di brutal death metal eseguito a mò di voce enciclopedica. I due chitarristi bombardano ovunque con una selva ordinata di accordi pesantissimi, in repentino mutamento attorno al main riff, questi da totale devastazione. Un po’ sottotono il basso ma questo è normale, dato l’enorme rifferama che, come un tappeto, sigilla strettamente i vari ricami. Tuttavia, il suo rombare costituisce senz’altro a inspessire il suono.
Ideale complemento a una dimostrazione di siffatta forza, è l’ugola arsa di Dennis Schreurs, il quale evita timbri diversi da uno stentoreo growling emesso a pieni polmoni. Il livello di aggressività è più che buono, anche se detto growling non affonda mai il colpo, oltrepassando un limite che evidentemente Schreurs medesimo si è posto ritenendolo congruo per le linee vocali che devono circumnavigare un sound incredibilmente folle.
Da buon brutal la melodia non viene nemmeno presa in considerazione, il che non fa che impreziosire il sound sopracitato. A tal proposito, accanto ai tanti pregi emerge un difetto, e cioè lo stile. In questi ultimi anni sono emerse decine di band di alto livello nel campo ridetto sottogenere, per cui riuscire ad azzeccare un lavoro che sia anche originale è davvero un’ardua impresa. Il che comporta il fatto che pure dopo reiterati ascolti riesca poco immediata la comprensione al volo di quale act stia suonando in quel momento.
Per concludere, bisogna nuovamente rimarcare la gigantesca bravura tecnica che è alla base di “Torn from the Jaws of Deaths”, ma anche l’ordinario lato artistico, legato a un modo di comporre che non sboccia del tutto, lasciando un po’ di amaro in bocca. Comunque su questo non ci piove: se si vuole provare cosa sia il massimo del brutal death metal attuale, sì, si può fare un nome. Severe Torture.
Daniele “dani66” D’Adamo