Recensione: Totem
Da wikipedia
Veles (in cirillico: Велес; in polacco Weles; in antico russo e antico slavo ecclesiastico: Велесъ) altresì conosciuto come Volos è un importante dio della terra, delle acque e degli inferi, appartenente al pantheon slavo ed associato ai draghi, al bestiame, alla magia, ai musicisti, alla ricchezza ed all’inganno. È l’antagonista del supremo dio del tuono Perun, la cui battaglia contro di esso costituisce uno dei più importanti miti della mitologia slava.
In realtà a chi bazzica il mondo pagano slavo e, a livello più ampio, quello indoeuropeo, Veles è noto per molti altri aspetti. La sua figura, come spesso accade nel passaggio da una religione indoeuropea all’altra, corrisponde ad un miscuglio di tante altre divinità presenti in altri apparati divino-mitologici. Complicato? Sì. Ma basta fare alcuni esempi per chiave per orientarsi senza grosse difficoltà. Veles è dio degli inferi, ma anche dei pascoli e della musica, ed in ciò pare una strana unione tra Pan e Ade. Ma d’altro canto, e qui vogliamo andare a parare, Veles è dio delle magie e dei sortilegi, dei trucchi e infine degli inganni. E chi bazzica il metal scandinavo sa che dalle parti di Asgard, successivamente confinato negli inferi per la sua strafottente ingestibilità, è Loki a coprire un ruolo analogo.
E qui vuole probabilmente andare a parare Yaromisl, sciamano ucraino e titolare delprogetto Zgard, personalità che su Truemetal abbiamo conosciuto appena un anno addietro con Contemplation e che già ora ritorna con un nuovo Lp, il quinto dal 2012: un concept basato appunto sulla figura di Veles, presentato in un artwork di rara bellezza, basato sul contrasto di colori che solo gli slavi orientali sanno creare, un artwork che raffigura il dio in un turbine di fuoco mentre suona il flauto.
E, incredibile a dirsi, proprio il flauto o meglio, la Sopilka, è tra i dominatori di un disco che come il predecessore si presenta all’insegna del black atmosferico. La sopilka non è onnipresente, ma quando compare affresca malinconia e disegna lande desolate, sorretta da una base poderosa, lenta ed atmosferica. La sopilka, il flauto tradizionale degli slavi dell’est, dona una incredibile profondità a pezzi come Край Легенд (Kraj Legend – La terra delle leggende) oppure Журба (Žurba – tristezza), due brani di effettivo valore che denotano una netta maturazione nello stile evolutivo del duo di Ivano-Frankovsk. Si perché nel frattempo Jaromysl ha accolto stabilmente in formazione Dusk, responsabile delle liriche.
Oltre a ciò, gran risultato è ottenuto in Нащадки Грому (Nashadky gromu – Discendenti del tuono), dotata di un corus in clean di indiscutibile effetto e probabilmente il pezzo più efficace di tutto l’album e in Темний Болодар Карпат (Temnj Volodar Karpat – L’oscuro signore dei Carpazi), indiscutibilmente il pezzo più strutturato del disco. Dall’altro lato abbiamo pezzi come Totem, che non si discostano molto dal black teso e un po’ monocorde sentito nelle prove precedenti, o come Пробач Природа (Probač priroda – Perdonaci natura), che pur alternando momenti eterei e di furia con buona tecnica, pur registrando un passo in avanti rispetto a Contemplation, non condividono appieno.
Insomma, Totem registra non tanto una crescita a livello di maturità quanto una raffinazione nella proposta del duo ucraino, supportata da una qualità sonora decisamente migliore a quella delle prove precedenti. La proposta continua a muoversi sulla testata linea del black pagano con inserti folk, nulla di innovativo dunque, ma grazie al netto risalto riservato a questi inserti, le composizioni acquistano di freschezza e varietà, cadendo nel noioso solo poche volte. Un buon lavoro dunque, che lasciapresagire ulteriori miglioramenti futuri.