Recensione: Tower
Dopo anni di silenzio il 2018 aveva sancito il ritorno in pista dei seminali Hollow, formazione svedese dedita a un personalissimo power-prog. I Nostri, sul finire degli anni Novanta, avevano saputo conquistare le attenzioni di fan e addetti ai lavori grazie a due album dalla spiccata personalità. Poco dopo quei dischi, però, gli Hollow fecero perdere le loro tracce, lasciando un senso di incompiuto nel loro percorso, seminando tante domande su ciò che sarebbe potuto essere ma che invece non è stato. Il comeback del 2018 fu un ritorno degno di nota, in cui i Nostri ci avevano deliziato con un album interessante, intitolato “Between Eternities of Darkness” (qui la nostra recensione). Il disco aveva sfoggiato ottimi spunti, mostrando una band in salute ma, per certi aspetti, non era riuscito a bissare la qualità che gli Hollow avevano esibito sul finire degli anni Novanta, in particolare con il capolavoro “Architects of the Mind”. All’epoca di “Between Eternities of Darkness”, su queste stesse pagine, ci eravamo lasciati con la speranza che l’album potesse rappresentare una sorta di nuovo inizio per la formazione capitana da Andreas Stoltz. Ci eravamo augurati che i Nostri potessero effettuare quel percorso che li aveva portati alla ribalta sul finire degli anni Novanta: un primo disco interessante – “Modern Cathedral” – seguito poi da un autentico capolavoro, quel “Architects of the Mind” che aveva proiettato i Nostri verso i piani alti del metallo pesante. Ed eccoci qui, nel 2021, pronti a scoprire se il buon Stoltz sia riuscito a soddisfare questa nostra aspettativa: gli Hollow, infatti, via Rockshots Records rilasciano il loro quarto disco, intitolato “Tower”.
Bastano le battute iniziale dell’album per comprendere che ci troviamo al cospetto di un lavoro griffato Hollow: i suoni, le atmosfere, le melodie, la voce di Stoltz sono tutti elementi che mettono subito le cose in chiaro. Sottolineano inoltre come gli Hollow siano una formazione dotata di una personalità marcata e riconoscibile. Come da tradizione del combo svedese, poi, anche il nuovo “Tower” è un concept album. E così, dopo aver trattato il tema dell’intelligenza artificiale in “Architects of the Mind”, una tragedia familiare in “Between Eternities of Darkness”, in “Tower” Stoltz decide di affrontare il tema della libertà. Lo fa creando una sorta di storia fantasy, in cui analizza come sia la nostra stessa mente a precluderci la libertà, intrappolandoci in schemi che vanno a limitare il nostro io, a volte per seguire dei diktat che arrivano dall’esterno. La nostra mente, insomma, diventa una sorte di torre, una prigione da cui vorremmo fuggire. Un’immagine che trova perfetta rappresentazione nella copertina di “Tower” – realizzata da Oleg Shcherbakov – e, soprattutto, nelle atmosfere dell’album. “Tower” risulta infatti un disco introspettivo, un lavoro che necessità di più ascolti per poter essere compreso. Non che i precedenti album degli Hollow fossero diretti, ma “Tower” risulta di sicuro il full length più riflessivo messo a segno dai Nostri. Entrando nel dettaglio del disco, “Tower” risulta di difficile catalogazione – come dichiarato dallo stesso Stoltz – un aspetto che può essere considerato più un pregio, che un difetto, verrebbe da aggiungere. L’album segue infatti la tradizione Hollow, inserendo delle atmosfere cupe e introspettive degne dei migliori Fates Warning e Queensryche, mescolandole a elementi “moderni”, spingendosi fino ad aperture pseudo thrash, come accade nella parte centrale di ‘Sunrise’. “Tower”, in questo modo, si rivela un autentico viaggio, pronto a ricreare in musica le emozioni che caratterizzano il concept narrato. Un lavoro che, come sottolineato qualche riga sopra, risulta capace di crescere con il tempo, il classico disco che richiede di essere ascoltato più volte e tutto d’un fiato, dall’inizio alla fine, per poter essere davvero compreso. Consapevole della complessità del disco, il buon Stoltz viene in nostro soccorso, limitandone la durata, nel tentativo di renderne più semplice l’assimilazione, evitando in questo modo che l’album possa risultare indigesto sulla lunga distanza. “Tower”, infatti, presenta dieci canzoni, per poco più di trentasei minuti di musica. Il suono, poi, risulta al passo con i tempi ed estremamente potente, un ulteriore punto a favore per la nuova fatica del combo svedese. Da sottolineare che, come già accaduto in “Between Eternities of Darkness”, anche in “Tower” è lo stesso Stoltz a occuparsi di tutti gli strumenti, a eccezione della batteria, in cui ritroviamo il fido Stalder Zantos.
Da quanto fin qui scritto credo sia facile comprendere come “Tower” risulti un disco riuscito e convincente, in grado soddisfare i fan della formazione svedese. Ha inoltre tutte le potenzialità per fare breccia nei cuori di chi ama ascoltare musica senza paraocchi, lasciandosi trasportare dalle emozioni che l’album saprà generare durante l’ascolto. Ma l’aspetto che più ci preme comprendere è il sapere se la nostra aspettativa, quella con cui ci eravamo lasciati nel 2018 e che abbiamo riportato all’inizio di queste righe, sia stata soddisfatta oppure no. “Tower” riesce nel difficile compito di bissare e dare seguito alla magia che gli Hollow avevano saputo sfoggiare sul finire degli anni Novanta? Beh, come detto, “Tower” è sicuramente un disco molto interessante, riuscito, dal forte impatto emotivo ma, purtroppo, non riesce ancora a raggiungere gli apici espressivi che i Nostri avevano toccato con “Architects of the Mind”, in particolare. La strada è quella giusta, però. Il futuro potrebbe regalarci grandi soddisfazioni. Intanto non fatevi scappare questo “Tower”, potrebbe essere una piacevole sorpresa.
Marco Donè