Recensione: Tragos
Sebbene gli Aima (Αιμα) siano stati fondati ad Atene nel 2011, solo adesso esce “Tragos” (“τράγος”), debut-album di una carriera che ha visto un produzione discografica piuttosto scarna, pure accompagnata dalla scelta di non suonare dal vivo. Se poi si osserva che i tre membri hanno preso parte a numerosi progetti paralleli, ecco che la spiegazione del perché sia arrivato a metà 2019 il momento del primo full-length è bella e fatta.
Un full-length totalmente immerso nel brodo primordiale da cui sono usciti, grondanti sangue, cenere e membra, il thrash, il black e il death. Tornando indietro nel tempo, quindi, sino alla metà circa degli anni ottanta. Con un sound, cioè, ancora indefinito nei suoi contenuti primigeni; coacervo di violenza pura fatta musica e poco altro. Verrebbe da tirare dentro l’old school death metal ma no, i Nostri vivono in una realtà avulsa da ogni definizione sensata, identificata con precisione.
Se tuttavia si vuole discutere attorno a un argomento, questo non può che essere il death metal. Di esso, infatti, si riescono a mettere a fuoco alcuni dei caratteri distintivi che, a partire dai Possessed, si sono evoluti progressivamente e inarrestabilmente sino ai giorni nostri. Growling roco, soffuso, cavernoso, assolutamente bestiale. Drumming lineare, volutamente rozzo e involuto, non per questo capace di sfondare la barriera del suono per entrare nella fisica dei blast-beats. Riff putrescenti, marci, puzzolenti, che paiono essere stati concepiti in un barile di carne in decomposizione. Con soli laceranti, taglienti come un rasoio, intenti a incidere la carne per estrarne gli organi interni. Il basso romba quasi indistinguibile, grazie – per modo di dire – a una produzione caotica, confusa, incapace di dare ordine a un sound convulso. Probabilmente frutto di una lavoro studiato a tavolino allo scopo di fornire il materiale principale per un immaginario stage-diving eseguito direttamente entro un profondo lago di putredine.
Il feroce trio ellenico, se da un lato si può promuovere in virtù di uno stile sì trito e ritrito ma sempre in qualche modo affascinante, dall’altro è da biasimare per un modus compositivo esageratamente elementare. Tale da rendere “Tragos” un disco dai contorni più amatoriali che professionali, benché sia stato inciso sotto l’egida della Nuclear War Now! Productions.
Anche a passare e ripassare sul percorso malefico che conduce ‘Goatfuck Redemption’ ad ‘Hands in Blood’, difatti, non c’è modo di riuscire a trovare qualche differenza sostanziale fra una song e l’altra. Certo, l’impatto frontale delle tracce in sequenza non è indifferente. La mancanza o quasi (‘Carve Ritualistic Pictographs on Forehead’) di segmenti rallentati fa sì che “Tragos” si identifichi in una specie di furibondo ariete atto a scardinare le porte degli Inferi. La massa compressa nelle tracce è abnorme, indi per cui il platter sfonda davvero gli speaker.
Tutto qui, però.
Se non c’è vivacità nel songwriting, esso resta piatto, immoto, incapace di generare particolari emozioni in chi approccia speranzoso un LP di death metal. Gli Aima non paiono avere nelle corde il necessario talento per creare brani che possano interessare per la loro singolarità. Il tutto si coagula in un ammasso indistinguibile di note e accordi che sembrano reiterarsi ad libitum. Con che, dopo nemmeno troppo, piomba come un falco la noia. Noia per qualcosa che dovrebbe esserci e che invece non c’è: la canzone.
Non resta che consigliare “Tragos”, insufficiente nel suo complesso, a una ristrettissima cerchia di super-appassionati del genere.
Daniele “dani66” D’Adamo