Recensione: Tramohr
Abbiamo già avuto l’occasione di parlare di Dramanduhr, progetto promettente e decisamente inusuale proveniente dalla nostra Sicilia, in un’intervista pubblicata nel mese di Febbraio 2022. L’articolo in questione è stato diffuso per celebrare la divulgazione del singolo “Ixtratarrastràh”, ora giustamente confluito in “Tramohr”, debutto discografico ufficiale di questa one man band. Consiglio caldamente una lettura preventiva di quell’intervista (cliccate qui per recuperare l’articolo): troverete molti approfondimenti ad alcuni temi che in questa recensione dovrò trattare con maggior sintesi. Intervista letta? Avete provveduto? Benissimo, torniamo a noi e soprattutto torniamo in Sicilia. Là dove il sole splende con maggior forza si creano talvolta le ombre più scure, come ben sanno i fans del Black Metal di Inchiuvatu e Malauriu e gli amanti del tiratissimo Thrash Metal degli Schizo. L’elenco di bands siciliane Metal, qui ridotto all’osso, potrebbe allungarsi parecchio: da oggi possiamo aggiungere con malcelato orgoglio una nuova forza a questa gloriosa rappresentanza. Non sembra un caso che “Tramohr” sia nato in Sicilia: fulgido esempio di sincretismo culturale, la bellissima isola viene spesso considerata come una concreta e vibrante espressione di ‘mediterraneità’, non solo per la posizione geografica ma proprio perché le sue terre hanno accolto praticamente tutti i popoli mediterranei nel corso dei millenni. Ogni popolazione stabilitasi in Sicilia ha lasciato tracce di sé nelle manifestazioni artistiche e nelle tradizioni, sia dal punto di vista culturale che prettamente linguistico: la tecnica usata per la stesura dei testi di “Tramohr” è un’ulteriore manifestazione di questa congerie di influenze. Le liriche del disco sono state interamente scritte in un linguaggio glossolalico di pura invenzione chiamato Dahrmonium, creato usando sillabe e suoni comuni a molte delle lingue ‘reali’, siano esse morte o ancora attive, parlate nel bacino del Mediterraneo. Questa scelta linguistica impreziosisce un arazzo sonoro che sembra trarre ispirazione tanto dal Folk nostrano quanto dallo stile innovativo di gruppi come Thy Catafalque, Enslaved, Negură Bunget o, tanto per allontanarci un po’ dall’ambito puramente Metal, Sigur Rós. Questi ultimi, islandesi colpiti dalle luci della ribalta tra la fine del secolo scorso e i primi anni 2000, forse più di ogni altro artista possono essere ritenuti tra le probabili maggiori fonti di ispirazione per Dramanduhr e il suo Dahrmonium: i Sigur Rós, infatti, scrivono i loro testi utilizzando un linguaggio inventato e privo di significati espliciti, in cui la voce svolge in tutto e per tutto la funzione di strumento musicale aggiuntivo. Ascoltando “Tramohr”, però, ci si accorge subito di un’evidente differenza rispetto ai lavori profondamente sperimentali dati alla luce dai succitati artisti: pur mantenendosi su binari paralleli a quelli seguiti da queste bands, la musica di Dramanduhr ha dalla sua parte grandi dosi di istintività e immediatezza, doti che rendono “Tramohr” istantaneamente godibile e fruibile fin dai primi ascolti.
La passionalità e il misticismo narrati dalle 10 tracce che compongono il disco vengono veicolati da una coinvolgente varietà di manifestazioni sonore. Dramanduhr intreccia melodie orientaleggianti a salmodie d’ispirazione cattolica, irrobustendo le canzoni con inserimenti elettronici, rassicuranti parti in up-tempo di provenienza ‘tradizionalmente’ Metal, intermezzi psichedelici che sembrano arrivare direttamente dagli anni ’70. Ecco il motivo per cui parlo di binari paralleli: il sentiero intrapreso dall’artista siciliano è più o meno lo stesso scelto dai ben più blasonati nomi indicati poc’anzi, ma gli artifici selezionati da Dramanduhr permettono a “Tramohr” di non incrociarne mai il cammino, mantenendo costantemente un’identità piuttosto originale e innovativa. “Tramohr”, insomma, è solo uno degli ultimi esempi in grado di comprovare la grande abilità del Metal di inglobare dentro di sé influenze musicali eterogenee, provenienti oltretutto dai campi artistici più disparati. Tanto per fare un esempio: il primo minuto della title track “Dramanduhr”, traccia iniziale di “Tramohr”, ha scatenato nella mia immaginazione una serie inattesa di collegamenti. I miei pensieri, anziché venire inondati da ricordi legati alla mia cultura musicale Hard’n’Heavy, sono stati guidati istintivamente verso il mondo cinematografico di Stanley Kubrick. Ascoltate, se potete, il primo minuto della canzone ora che ho nominato il grande regista: probabilmente a qualcuno sembrerà di sentire una mescolanza delle colonne sonore di Arancia Meccanica e Eyes Wide Shut. Chi non conosce questi due capolavori ponga subito rimedio a questa lacuna; chi invece ha già pagato il giusto tributo a queste due pellicole, molto probabilmente, capirà perché ora farò riferimento a concetti come violenza e sessualità, temi approfonditi da Kubrick in entrambe le opere citate. Sarà forse per questo che i brani di “Tramohr” colpiscono fin dal primo ascolto: in fondo siamo sempre lì, aggrappati al vecchio e immortale binomio ‘amore e morte’ esplorato da innumerevoli artisti in una miriade di opere. Me ne vengono in mente un paio, tanto per arricchire la trasversalità di questa recensione: penso ad esempio a Giacomo Leopardi e al ventisettesimo dei suoi Canti, oppure ai ‘nostri’ Cradle Of Filth nel bell’album “Midian“. Sembra che io stia divagando più del solito, ma andate e leggere le parole che il musicista creatore di Dramanduhr utilizza per descrivere una scena che la sua immaginazione, stimolata dall’invenzione del Dahrmonium, ha generato durante il processo creativo che ha portato a “Tramohr”: ‘…finché ho avuto una visione, interconnessa all’essenza del Dahrmonium: dentro ad un tempio aperto all’esterno, ai piedi di un vulcano in eruzione, un gruppo di adepti si riunisce per compiere il Rito e prendervi parte. Il profeta conduce la cerimonia per l’invocazione di Dramanduhr, un dio di un pantheon da un altro mondo il cui scopo è quello di invadere i corpi dei suoi seguaci, estinguendo la loro mente razionale, mettendo essi in contatto con la loro parte sacra – la follia, causando il rilascio di energia sessuale pura e violenza inespressa dall’inconscio, risvegliando gli istinti naturali di coloro che prendono parte al Rito…’.
Coerentemente con quanto affermato da colui che si cela dietro a Dramanduhr, nel disco troviamo brani particolarmente sanguigni ed energici (“Ixtratarrastràh”, “Tàhn Stun Karràh”), ritornelli melodici e incredibilmente ‘danzerecci’ (“Retrizaxerat” e “Anassihn Tharek”), addirittura momenti inaspettatamente romantici come in “Tàh Loh Rehn Kilt”. Suggestioni lovecraftiane, sacralità, impulsi naturali, sessualità…“Tramohr” sembra voler stimolare direttamente le corde più nascoste e primordiali del nostro inconscio, aggirando i filtri normalmente imposti dalla razionalità. L’utilizzo di una ‘lingua/non lingua’ appare a questo punto una scelta dovuta: la musica di Dramanduhr non nasce per inviare un messaggio diretto: come molte buone opere d’arte “Tramohr” compie, in un certo senso, metà del lavoro: l’altra metà è affidata all’ascoltatore, libero di interpretare gli stimoli ricevuti partendo dalla sua esperienza e dal suo ‘bagaglio’ culturale. Suggerisco, proprio per tutta questa serie di ragioni, di ascoltare “Tramohr” in solitudine e possibilmente al buio, così da non essere bombardati da distrazioni e interferenze esterne. Mi sembra il modo giusto per poter assaporare tutta l’eccentricità di un’opera gradevole e curiosa, sicuramente meritevole di attenzione e rispetto. Buon ascolto a tutti!
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