Recensione: Transcend Into Ferocity
Non è bastato il nome pacchianissimo a imbrigliare questi brillantissimi svedesi tra le fitte maglie dell’underground. Remnants Of Deprivation ha lasciato a bocca aperti un po’ tutti, anche i diffidenti più tenaci; Transcend Into Ferocity è invece la conferma che, per così dire, non ci erano “caduti sopra” per caso. Anzi, questo nuovo full-lenght si spinge oltre: per quanto il debut non sia impeccabile, di sicuro è uno di quei lavori che generano un monte di aspettative difficilissime da soddisfare. Bene, basta un banalissimo ascolto per rendersi conto che non ci hanno tradito, e che i due anni di pausa sono serviti per assestare un altro bel colpaccio.
Molti elementi stilistici sono stati abbondantemente recuperati. Innanzitutto la metrica del cantato, precisa e sempre molto sostenuta, tanto da rendere la voce una sorta di strumento supplementare. E poi serie infinite di stacchi, uno in fila all’altro, suonati con la dovuta precisione e senza mai mancare di riguardo all’ascoltabilità. Nonostante i ritmi serrati i Visceral Bleeding mantengono inalterata la capacità di evitare di scadere nel puro caos: una caratteristica che era emersa ancora di più all’esordio, dove i fraseggi erano al limite del chirurgico.
Ma quel primo lavoro calcava troppo la mano sulla componente tecnica, e in alcune forzature si giocava qualche punticino. Invece ora i Visceral Bleeding hanno il coraggio di osare, e quando serve piazzano lo stacco vincente. Fino ad arrivare a casi limite come in “Indulged In Self Mutilation“, dove verso l’inizio il prepotente tappeto Brutal si ferma per lasciar spazio a degli anomali passaggi in stile Swansong.
Trattasi di un caso isolato; ma non è così per i molteplici intermezzi dallo spiccato gusto core. Le enormi potenzialità dell’approccio ce le hanno abbondantemente mostrate i Dying Fetus e, seppure con minore frequenza, sembra che anche Visceral Bleeding vogliano farne uso.
Certo, un discorso da fare con le molle, perchè fin’ora il gruppo è ancora testardamente attaccato al suo Brutal molto tecnico, dove il massimo della melodia è rappresentato dalle armonizzazioni dei riffing. Eppure stacchi come quello di “Trephine The Malformed” non sono un “incidente di percorso”, ma una determinata scelta stilistica che, a mio modo di vedere, dona tantissimo all’album. E non è neanche in contrasto col loro approccio musicale generico, che a ben pensarci non è mai stato orientato in maniera esclusiva alla violenza: fin dall’album datato 2002 è stato infatti evidente come il loro stile volesse unire estremo e groove, senza dover rinunciare all’intransigenza tipica del genere.
La strada imboccata è perfetta. Tutto quanto c’era di buono in Remnants Of Deprivation è stato inequivocabilmente confermato; quel che c’era da limare sta cominciando a prendere una gradevolissima forma. Sicuramente Transcend Into Ferocity non è l’album della maturità, ma il passo sembra ora più che mai vicinissimo. Nel frattempo gustiamoci un album di Brutal che unisce velocità, groove e potenza come pochissimi altri sanno fare.
Matteo Bovio