Recensione: Transcendence

Di Simone Volponi - 6 Ottobre 2016 - 18:17
Transcendence
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Il mio primo contatto con il genio canadese Devin Townsend risale al 2005, quando mi imbattei in quella macchina assassina denominata Strapping Young Lad di cui era mente e frontman. L’album era “Alien”, lanciato da un singolo che amai da subito: “Love?”. Da quel momento, il mio rapporto con il folle di Vancouver è stato contrassegnato da alti e bassi, odio e amore, a causa della natura ondivaga e spesso caotica della sua proposta, e del suo essere eternamente affamato di nuove influenze. Amore per i tanti gioielli sparsi nella variopinta discografia, come il tormentone musical di “Bad Devil” presente su “Infinity”, odio per gli intrecci informi non sempre focalizzati che diluiscono le sue composizioni rischiando di farti impazzire.
Townsend è come un gigantesco corpo celeste che attira a sé, fagocitandolo, ogni elemento musicale esistente, senza alcuna remora. Metal estremo e classico, rock‘n roll, elettronica, psichedelia, ambient… è tanto onnivoro da non farsi mancare nulla, fregandosene di una ipotetica scena alla quale non sente di dover appartenere. Un organismo multiforme i cui input mentali lo spingono a creare di continuo mondi musicali sfaccettati dove ci si può perdere e allo stesso tempo esaltare.
Messi a tacere per sempre gli Strapping Young Lad, il nostro ha partorito un’ampia serie di album sotto il monicker DTP (Devin Townsend Project per l’appunto), passando dagli impianti soporiferi di “Ki” e “Ghost”, dove l’ambient prendeva il sopravvento, alla dannata quanto affascinante complessità di “Deconstruction”, fino ai più accessibili “Addicted” e “Epicloud” complice il sodalizio con l’olandese ex The Gathering Anneke Van Giersbierg. “Trascendence” segue la scia di questi ultimi, e il DTP si ripresenta a noi come un circo sgargiante allestito all’interno di un’astronave, durante un viaggio negli angoli più folli dell’universo.

La chitarra posta in apertura ha il suono spaziale tipico delle produzioni targate Devin, uno dei suoi marchi di fabbrica, così come il vasto e pomposo coro alieno che segue, una sorta di invocazione a un’antica divinità imbevuta nell’acido e appartenente a una dimensione lontana. “Truth” è la riedizione dell’opener presente in “Infinity“, riveduta e rimaneggiata con nuova energia per fare da base di lancio a “Stormbending“, primo vero pezzo di “Transcendence”. Inizio cadenzato, la voce pulita e sintetica di Devin in primo piano, contornata da tastiere ed effetti spaziali come fosse in un liquido amniotico luminescente. I cori pomposi, voci umane e non assemblate insieme, si aprono poi la via durante il crescendo e il finale distorto che porta dentro “Failure“. La terza traccia comincia con colpi di chitarra marziali e un tono drammatico, su cui si staglia la voce espressiva di Devin. Epica e pathos la fanno da padrone, regalando un lungo break sognante con assolo di chitarra alla Pink Floyd 2.1. Le capacità alla sei corde di Townsend sono notevoli (per uno che ha prestato servizio presso Steve Vai è logico che sia così) ma sempre sposate alla composizione, senza mai eccedere nello sterile virtuosismo.
Secrets Sciences” ritorna di nuovo ai tempi “Infinity”, con la sua apertura acustica, e quel coretto dalla melodia stratificata, simile ad ammaliatrici sirene cosmiche sempre in sottofondo. Sette minuti e mezzo di prog diluito ma con una dose perfetta tra strofe e ritornello espressivo. La seguente “Higher” porta in dote oltre nove minuti (il dono della sintesi è spesso materia oscura per il buon Devin) di tutto quel che è la visione futurista e folleggiante di Townsend: inizio acustico, il cullante apporto della voce di Anneke prima della brutale prestanza metallica memore degli Strapping Young Lad, e gli ultimi tre minuti di sinfonia dotati di una solennità trascinante.
Non c’è un attimo per fermarsi a pensare, se non al fatto che in “Higher” ancora una volta Devin Townsend si sia dimostrato un portento come cantante, dotato di una voce distinguibile tra mille e così istrionica da passare senza problemi da uno scream efferato e lacerante, a varchi in clean aggressivi, a toni cristallini e delicati nelle parti più intimiste, finanche al recitato bizzarro quando veste i panni di uno dei suoi strambi personaggi.
Stars” si lega direttamente alla traccia precedente, e per fortuna non è sovraffollata di sfaccettature, durando la metà nel minutaggio: un po’ di calma e linearità ci vuole, sempre restando nei vulcanici meandri del Townsend pensiero, utile a spingerci all’interno della maestosa titletrack. Anneke tiene per mano il protagonista, in un intreccio atmosferico, orchestrale, dal grande impatto scenico, con un che di Ayreon a scorrere nelle vene. Solenne, intensa.

E via dentro “Offer Your Light“, un colpo piazzato un po’ a sorpresa… ma un gran colpo! È power metal futuristico, incalzante e con un bel refrain diretto che si imprime con forza nelle orecchie dell’ascoltatore. Ottimo anche qui l’intreccio vocale con la rossa olandese, che alza il livello della sua presenza apparendo maggiormente in primo piano. “Offer Your Light” è diversa rispetto al resto dell’album, quasi un corpo estraneo, ma sono certo farà furore e raccoglierà più di un consenso.
La parte finale ci aspetta con due pezzi entrambi dalla durata superiore agli otto minuti, e strano a dirsi, visto la complessità strutturale tipica di ogni lavoro di Devin Townsend, ci arriviamo privi di qualsiasi senso di fatica o pesantezza. “From The Heart” è un mid-tempo lineare e distensivo, con una coda acustica che sa di quiete e rilassatezza, e gli ultimi minuti d’abbandono su placide note strumentali ci permettono di sognare le stelle.
L’ultima “Transdermal Celebration” può essere considerata una sorta di bonus, essendo la cover dei connazionali Ween rinchiusa nel guscio stellare di Devin e resa a nuova luce con avvolgente coltre electro-ambient e soffi cosmici che segnano l’allontanarsi dell’astronave DTP.

La produzione come sempre è perfetta, limpida e tipica del verbo townsendiano, e un plauso va fatto anche alla band che lo sostiene, soprattutto alla sezione ritmica incarnata da Brian Waddell al basso e dal chirurgico batterista Ryan Van Poederooyen. “Trascendence” è l’ennesimo capitolo di un itinerante spettacolo galattico, che periodicamente fa tappa da noi sulla terra, e uno dei migliori album della più che ventennale e vasta carriera del canadese. Piaccia o meno, c’è vita intelligente nello spazio…

 

 

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