Recensione: Transcendence into the Peripheral
Capita, a volte, che dei gruppi se ne escano con degli album epocali, in grado di influenzare pesantemente un intero genere musicale, e magari lì per lì non se ne accorgono nemmeno. Capita anche che questi gruppi, nonostante la loro importanza, per un motivo o per un altro si sciolgano presto, troppo presto, lasciandoci magari giusto un capolavoro, che anche alla luce della prematura fine della band acquista un’aura particolare, assurgendo a modello per quelli che sono venuti dopo. Per restare in campo doom, è successo con Stream from the Heavens dei Thergothon per il funeral, ad esempio. Ed è successo con Transcendence into the Peripheral dei Disembowelment, album che abbiamo qui in esame, per il death-doom. Se si vogliono ricercare le origini del sound odierno del death-doom (e mi riferisco al death-doom brutale, grezzo, senza alcuna influenza goticheggiante), una delle risposte è qui: questo dischetto uscito nel lontano 1993 per la Relapse Records di un gruppo che fino a quel momento aveva sfornato solo un demo (Mourning September) dalle buone idee ma pessimamente registrato, e un ottimo EP (Dusk), che però non lasciavano presagire quale enorme portata avrebbe avuto il primo (e purtroppo unico) full-length.
Transcendence into the Peripheral è una delle massime espressioni di quanto violento e massiccio possa essere il death-doom: è capace di unire una lentezza ossessiva e assolutamente sfibrante ad assalti di folle brutalità che sembrano uscire direttamente da un gruppo death metal. Non solo: i Disembowelment condiscono il tutto un’atmosfera esoterica, imponente, maestosa, che accentua ancor di più l’aura solenne che il disco si porta dietro. Le chitarre sono ribassatissime e potentissime (ma non lesinano anche parti acustiche di suggestiva bellezza), e insieme ad un basso dal suono catacombale creano un muro di pesantezza sonora invalicabile; la batteria è poi uno degli elementi che maggiormente contraddistingue i Disembowelment, col suo incedere ora cadenzato, ora preda di folli blastbeats anche quando il resto della musica continua a trascinarsi nella sua lentezza, creando in tal modo un contrasto particolarissimo. La voce è un potente, versatile growl generalmente tanto profondo da sembrare inumano, ma che non esita a giocare con la sua tonalità, diventando in alcuni frangenti un vero e proprio scream, e producendosi talvolta in disperati lamenti.
L’incipit della prima canzone, The Tree of Life and Death, subito ci travolge con una sferzata di brutalità folle e inarrestabile, che si spegne progressivamente per far spazio ad una lancinante lentezza, un perverso trascinarsi di cavernosi ruggiti, per poi tramutarsi di nuovo in cieca violenza poco prima della fine. Your Prophetic Throne of Ivory è una delle tracce più particolari dell’album, coi suoi canti solenni e sacrali, che nessun indizio ci forniscono sulla incipiente orgia di velocità e urla che ci aspetta di lì a breve, prima che poi si chiuda con quegli stessi canti che ne avevano segnato l’inizio. La terza traccia, Excoriate, con la sua sezione ritmica possente e incalzante sembra quasi uscire direttamente da un album brutal death, ma è una parte centrale lenta e dolorosamente melodica a ricordarci che abbiamo sempre a che fare con del granitico death-doom. Nightside of Eden funge un po’ da spartiacque dell’album, configurandosi come un breve ed atmosferico intermezzo acustico recitato da una voce femminile. A Burial at Ornans dichiara immediatamente i suoi intenti con la sua lentezza estrema e coi suoi lamenti agonizzanti, per poi spiazzarci verso la fine con una delle sferzate di velocità più potenti e galvanizzanti dell’album. La successiva The Spirits of the Tall Hills è invece uno degli esempi migliori della particolarità della batteria di questo gruppo, che si lascia andare in blastbeats frenetici incurante del lento incedere delle chitarre. Infine Cerulean Transience of All My Imagined Shores è l’epica traccia conclusiva, un macigno di inaudita pesantezza capace di stupire anche con le sue melodie malinconiche, rassegnate, e crepuscolari.
Transcendence into the Peripheral dei Disembowelment è un album di importanza fondamentale nella storia del doom, che ha contribuito in maniera determinante alla creazione di stilemi che hanno influenzato e influenzano tuttora molti gruppi; un capolavoro senza tempo ammirato ancora oggi, che siede orgogliosamente sul suo trono. Resta il rammarico che non potremo sentire più nulla di nuovo da questo grande gruppo, ma forse è anche questo che rende Transcendence into the Peripheral ancora più unico nel suo genere, e d’altra parte gruppi storici e importanti come gli Evoken, e nuove leve come gli Indesinence, dimostrano che la lezione dei Disembowelment è passata tutt’altro che inosservata.
Da segnalare infine che il cantante/chitarrista Renato Gallina e il bassista Matthew Skarajew, dopo lo scioglimento dei Disembolwelment, fondarono i Trial of the Bow, gruppo ethno-ambient che nulla ha di metal, ma nel quale ancora si possono sentire echi di quell’atmosfera solenne, meditativa e ipnotica di cui era pregna la musica della loro precedente band.
Giuseppe Abazia
Tracklist:
1 – The Tree of Life and Death (10:25) * MySpace *
2 – Your Prophetic Throne of Ivory (07:40)
3 – Excoriate (04:45)
4 – Nightside of Eden (02:39)
5 – A Burial at Ornans (14:38)
6 – The Spirits of the Tall Hills (09:22) * MySpace *
7 – Cerulean Transience of All My Imagined Shores (10:07) * MySpace *