Recensione: Transhuman
Cover futurista, quella di “Transhuman” dei Believer.
Il che dimostra la voglia del quartetto americano di proseguire con un andamento esponenziale la progressione sbocciata con “Gabriel”, anno 2008.
Un’evoluzione che li ha portati ben distante dal robusto thrash degli esordi (“The Return”, demo, 1987). Il lunghissimo stop (1993 ÷ 2007) della loro carriera deve aver poi contribuito definitivamente a condurre il loro stile verso un genere ormai vicino all’ipotetico punto ove prog e power metal s’incontrano.
In questo percorso lungo i limiti estremi del thrash metal, la band di Colebrook deve averci creduto con forza, forse con l’aiuto della fede cristiana mostrata dal più semplice dei moniker: Believer, appunto. Tuttavia, in questo caso, la dottrina non risolve tutti i problemi. A iniziare dallo stile, difatti dispersivo e perennemente indeciso sulla direzione da intraprendere. Per cercare di trovare una similitudine con un’altra band, giusto per dare un’idea, farei il nome dei tedeschi Angel Dust. Non a caso partiti anch’essi da sonorità dure e massicce (“Into the Dark Past”, 1986) per giungere a una proposta clamorosamente melodica con l’incredibile “Enlighten The Darkness” (2000).
Al contrario dei teutonici, i quali centrarono anche lo stile oltre che le canzoni, i Nostri sono più disordinati nel mettere assieme le idee necessarie a costruire con coerenza la loro proposta musicale. Sia ben chiaro: stiamo discutendo di fior di musicisti, a partire dal bravo frontman Kurt Bachman che, malgrado abbia uno stile simile a quello di Dirk Thurisch (Angel Dust, appunto), interpreta ottimamente sia con la testa sia con il cuore le linee armoniche di sua competenza. Nulla da ridire anche sul resto della formazione, irreprensibile nell’eseguire le dodici song di “Transhuman” che, pertanto, può competere – grazie anche alla produzione del Trauma Team Productions – con le alte sfere del mercato internazionale.
Tornando allo stile, l’etnia thrash non si può ancora dichiarare estinta: lo dimostra “Clean Room”, dura e riottosa come da stilemi enciclopedici. Nel corso del tempo, però, la specie primigenia si è miscelata parecchio con elementi a essa alieni. Tanto e vero che l’elettronica, elemento certamente extraterrestre per gruppi quali Havok e Co., fa spesso capolino fra le maglie delle armonizzazioni elaborate dai vari strumenti (“Currents”, strumentale dark ambient). Spesso con buoni risultati, dando quella visione futuristica che s’intravede osservando il bianco soggetto dell’artwork. Malgrado quest’apprezzabile tentativo di legare, in qualche modo, la storia di ciascun brano, gli stessi insinuano in chi ascolta la fastidiosa impressione che non facciano parte di un’unica opera, ma che invece formino una sorta di ‘the best of’; talmente è difficile per loro far proprio uno stile che, evidentemente, manca delle caratteristiche necessarie affinché questo processo… digestivo avvenga con successo. Insomma, presi uno per uno i pezzi si ascoltano con piacere; messi assieme, producono confusione. Spiazza, per esempio, “Ego Machine”, improvviso – e certo non voluto – tributo al dissonante rifferama del compianto Denis “Piggy” D’Amour dei Voivod. In mezzo a tale disorganizzazione mentale, alcune canzoni emergono con decisione per la loro intrinseca validità sia come decisione nel vergare le note sul pentagramma, sia come esplosività del ritornello. La migliore, in tal senso, è l’opener “Lie Awake”, baciata da ‘quel qualcosa in più’ che, invece, poi, manca negli altri episodi. A essa si accompagnano “G.U.T.”, “Multiverse” (soprattutto) e “Being No One”, meno intense come profondità armonica ma comunque nel complesso ben confezionate. Il resto, come già accennato, è una matassa difficile da raggomitolare per quant’è ingarbugliata.
L’impegno dei Believer per plasmare le forme di “Transhuman” non deve essere mancato. L’idea finale è relativa a un lavoro nel quale si siano voluti infilare troppi elementi singolarmente pregevoli, ma complessivamente eterogenei sì da dar luogo a un album che, purtroppo, non riesce a decollare restando, pertanto, intrappolato nel ‘Regno della Sufficienza e Poco Più’.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Lie Awake 5:03
2. G.U.T. 3:39
3. Multiverse 4:44
4. End Of Infinity 4:12
5. Transfection 3:55
6. Clean Room 4:50
7. Currents 2:50
8. Traveler 4:23
9. Ego Machine 4:29
10. Being No One 4:47
11. Entanglement 4:15
12. Mindsteps 6:52
All tracks 54 min. ca.
Line-up:
Kurt Bachman – Guitar, Bass, Vocals
Jeff King – Keyboards, Guitar
Kevin Leaman – Guitar
Joey Daub – Drums