Recensione: Travel Now Journey Infinitely

Di Riccardo Angelini - 17 Giugno 2008 - 0:00
Travel Now Journey Infinitely
Band: Trinacria
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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65

Cosa succede se provate a sposare la storia dell’avanguardia vichinga con un gruppo noise in rosa? Se lo devono essere chiesti i membri di Enslaved e Fe-Mail: il frutto della loro unione è una creatura grottesca, informe, mostruosa. Il suo nome è Trinacria e sotto il suo glifo si riuniscono ben sette elementi della scena estrema norvegese: la voce Grutle Kjellson e le chitarre Ivar Bjornson e Arve “Ice Dale” Isdal degli Enslaved, le tastieriste Maja S. K. Ratkje e Hild Sofie Tafjord dei Fe-Mail, il bassista Espen Lien (Slut Machine) e il batterista Iver Sandoy (Emmerhoff).

Difficile presentare i contenuti di “Travel Now Journey Infinitely” in poche parole. Quello che un disco come il presente vuole rappresentare è indubbiamente un punto di rottura, un tentativo di abbattere barriere e certamente anche di provocare. Gli elementi essenziali su cui giocano i Trinacria sono ripetitività, dissonanza e atmosfera: chi già si prefigura un percorso tutto in salita non sarà lontano dal vero. Né il vestibolo “Turn Away” lascia adito a dubbi, con un titolo che neppure troppo implicitamente invita l’ascoltatore meno determinato a girare i tacchi e cambiare aria con solerzia. Il primo assaggio musicale appare parimenti programmatico: drumming vorticoso e regolare; riffing cadenzato, monolitico, ripetitivo fino al parossismo e disturbato da flebili interferenze elettriche; un cantato profondo e cavernoso – ne esce un ibrido di doom estremo dalle sfumature dark ambient, molto pesante e difficile da digerire al primo passaggio, anche (ma non solo) per la durata superiore ai nove primi. Il cammino non è destinato a diventare più agevole con le tracce successive. “The Silence” si accosta a coordinate black/death, con ritmiche sostenute e un riffing ostinatamente uguale a se stesso, che prima si infrange e poi si mescola a disturbi electro/noise, in un’orgia di ordine e caos che spezza il confine fra musica e rumore tout-court. Ancor più spiazzante in questo contesto il break d’atmosfera ficcato in medias res, una sorta di radura melodica che altro non fa se non rendere ancor più inquietanti i contorni del brano. La successiva “Make No Mistake” rimescola le carte proponendo una base inaspettatamente groovy – nella scia degli ultimi Satyricon – sulla quale si sviluppano le distorsioni sonore del due Ratkje/Tafjord. La ripetitività questa volta si traduce in una condanna senza appello per un episodio troppo prolisso e ridondante per trascinare e troppo poco suggestivo per incuriosire quanto i precedenti. Si torna su un terreno più congeniale alla band (ma probabilmente non all’ascoltatore) con la successiva “Endless Roads”, probabilmente il passaggio più aspro e faticoso, con i suoi dieci minuti netti di estensione. Fangoso, allucinato, claustrofobico, il pezzo si trascina a passi gravi e pesanti con un giro di chitarra di vecchia scuola Anathema che offre l’occasione per riproporre il contrasto fra un melodia semplice e ossessiva, da una parte, e le gracchianti interferenze noise, dall’altra. La chiusura si allaccia direttamente a “Breach”, che a fronte di una durata relativamente breve si rivela uno dei brani meno invitanti della tracklist, svolgendo l’ennesimo riff monotono e minimale verso un epilogo mutilo in prossimità del quale va intensificandosi la componente rumoristica.
Discorso a parte merita il capitolo finale. La title-track è infatti il pezzo sicuramente più riuscito di tutto l’album, una vera e propria gemma oscura la cui contemplazione è riservata a quanti avranno saputo perseverare nell’impervio tragitto. L’elemento noise è inizialmente estromesso in favore di un riffing decadente e drammatico, accompagnato dagli stupendi vocalizzi di Maja Ratkje. La struttura e le melodie si accostano con fermezza a un doom estremo più tradizionale: solo in coda le distorsioni elettriche tornano a farsi sentire, contaminando con le loro morbose dissonanze le linee vocali e i riff di chitarra.

“Travel Now Journey Infinitely” è senza dubbio uno degli album più difficili che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi. Pomo della discordia gettato fra quanti (pochi) vorranno innalzarlo a monumento dell’audacia scandinava e quanti (molti) lo rifiuteranno integralmente già al primo ascolto, il debutto dei Trinacria si propone come una sfida intrigante anche (e soprattutto) per chi, come il sottoscritto, non si ritiene in rapporti amichevoli con l’electro/noise nordeuropeo. Saranno destinati a rigettare queste note coloro che si tengono fedeli a una concezione di metal più o meno classica o più in generale a un’ideale di musica ordinata e, in senso stretto, piacevole. Solo coloro che sono disposti a concedere al dissonante e persino al brutto e allo sgradevole uno spazio di rilievo nella propria dimensione artistica avranno una possibilità di subire il fascino morboso di questo incubo allucinato. Apprezzamenti troppo entusiastici sarebbero qui fuori luogo, visto che le idee qui avanzate – oltre a non essere, com’è palese, per tutti – hanno certamente bisogno di essere ben rifinite: da parte nostra siamo comunque pronti ad accettare la sfida e a rilanciare. Il tempo dirà se dietro ai Trinacria si cela genuina ispirazione creativa o un velleitario tentativo di conciliare l’inconciliabile. Per ora ritenetevi avvisati – questo disco potrà essere per voi un curioso balocco così come una trappola infernale: maneggiare con cautela.

Riccardo Angelini

Solo per fornire uno spunto di critica aggiuntiva a un disco su cui comunque c’è molto da dire, pronunciamo due nomi fondamentali per la comprensione (almeno nelle intenzioni) dei Trinacria: Neurosis e Red Harvest.

Dei primi, gli Enslav… Trinacria hanno mutuato il gioco di “vuoto/pieno” sonoro, dove l’alternanza degli ossessionati statunitensi è qui spesso sostituita da un crescendo basato anche su un solo riff (come in “Turn Away”); Scott Kelly, Steve Von Till e soci qui riecheggiano spesso, anche e soprattutto nelle voci abrasive, scorticate, dolenti.

I riferimenti alla industrial metal band norvegese Red Harvest sono invece tutti nella parte più schiettamente “metal” del disco, da “The Silence” in poi: ripetitività ossessiva, un DNA che i membri dei Trinacria hanno assorbito da quella che nella loro nazione è una band di culto in ambito metal. I riff vengono usati come fondamenta di un’architettura costruita su noise e arrangiamenti minimi, e non ha senso speculare sulle doti tecniche o sulle scelte strumentali, ma solo percepire le sfumature da loro inserite.

Non è un esperimento riuscitissimo, il debutto dei Trinacria: ma vi sorprenderà ad analizzarlo momeneto per momento, durante ripetuti ascolti, se siete già esperti conoscitori dei due gruppi sopracitati.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:
Part I: Turn-away (9:14)
Part II: The Silence (7:40)
Part III: Make No Mistake (6:20)
Part IV: Endless Roads (10:00)
Part V: Breach (4:37)
Part VI: Travel Now Journey Infinitely (9:23)

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