Recensione: Traveller

Di Jan Terkuile - 27 Aprile 2003 - 0:00
Traveller
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Anno: 2003
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90

Questo promo arriva Direttamente dalle mani del direttore al mio ascolto, e fin da subito le condizioni del povero dischetto mi fanno intuire che posso essere di fronte a qualcosa di notevole (di qui l’aspetto consunto) o di notevolmente orrido (magari l’ha usato per mettere fine al fastidioso traballamento della scrivania, piazzandolo sotto una delle gambe…).
Considerato il passato degli Slough Feg, la copertina è perlomeno spiazzante: che ci fa un lupo travestito da guerriero di Warhammer 40K sulla cover dell’ ultra-celtica compagine di Scalzi & co.? Ebbene si, i nostri abbandonano il tema portante dei primi stupendi tre dischi (l’omonimo, Twilight of the idols e Down among the dead men) per buttarsi a capofitto nell’antica passione del gruppo: il gdr Traveller.

Così nasce quello che pare essere un concept sul gioco stesso e che riserva molte e gradevoli sorprese. Devo ammettere che ho subito pensato che gli SF si fossero bruciati il cervello in chissà quale stravagante maniera, ma fortunatamente vengo smentito, e pesantemente, dalla qualità del disco, quasi una sorta di schiaffazzo morale per ricordarmi che di una band del genere non bisogna dubitare. Mai. Gli SF hanno confermato di essere una band di punta per quanto riguarda l’ormai agonizzante panorama americano, una band che è ancora lontana dall’ottenere ciò che si merita, ma che nemmeno cerca compromessi per aumentare la propria schiera di affezionati.

Ma veniamo al sodo, a questo Traveller che tanto sta allietando le mie ore. L’inizio dell’album è una vera e propria dichiarazione: gli SF sono tornati più Heavy che mai! “The Spinward marches” stupisce subito per la sua potenza e schiettezza con il suo incedere marziale (appunto) e introduce la successiva “High Passage/Low Passage” che travolge col suo classico andamento Slough Feg, a cavallo tra la musica celtica e reminescenze Brocas Helm. In effetti l’intero album si staglia su questi lidi, pieni di lavori vorticosi di chitarra, che non lasciano spazio alla riflessione se non per pochi sparuti episodi, che valorizzano ancora di più il tutto.
Si deve però attendere la quarta traccia per dire “eccoli, questi sono gli SF che conoscevo!”, “Professor’s Theme” risulta potente e antemica allo stesso tempo, uno degli episodi più riusciti dell’album sicuramente.
Pensavo di essermi tranquillizzato abbastanza dopo le prime 5 canzoni, in realtà il bello doveva ancora arrivare…
“Vargr Theme/Confrontation” è assolutamente uno dei pezzi Heavy Metal più belli di quest’anno e più che mai Slough Feg. Ciò che stupisce è che proprio in questa canzone si ritrova tutto il passato della band, incedere epico e cavalcato permeato di atmosfere celtiche, e il nuovo e affascinante aspetto “spaziale” che trova realizzazione completa nel chorus del pezzo, dove le armonie ricordano -anche se molto alla lontana- le stesse sensazioni dei Voivod di Killing Technology. “Baltech’s Lament” è l’intervento acustico (immancabile) del disco e anche se meno riuscita rispetto a simili tentativi passati, rimane comunque un’ottima track, non certo un riempitivo.
“Gene-ocide” ci sbatte violentemente all’indietro verso quel capolavoro che fu il secondo disco della band, nonché primo per Dragonheart, “Twilight of the Idols”, insistendo nuovamente sui maelstrom chitarristici di Scalzi che riporta alla mente i (soliti!) Brocas Helm e i Manilla Road dell’epoca Mystification, quelli di pietre miliari come “Up from the Crypt” per intenderci. Il disco non conosce a questo punto più sosta, e ringrazio gli Slough Feg di aver messo una canzone come “Curse of Humaniti” a questo punto del disco, perché se non ci si potrà concedere il lusso di skippare nessuna canzone di questo disco, almeno questa track non risulta furiosa come le altre, dando quel saggio riposo alle orecchie che serve per preparare l’assalto finale. Anche “The Final Gambit” ci aiuta in questo, con le sue melodie quasi maideniane, e noi tutti siamo molto grati alla band di aver strutturato l’album in maniera intelligente oltre ad aver fatto un ottimo lavoro fin’ora. La conclusiva “Addendum Galactus” (ma quando la pianteranno sti americani di declinare il latino in maniera blasfema?), è un vero e proprio capolavoro di epicità e costituisce la summa dell’intero disco: potenza, gloria e Heavy Metal, senza compromessi. Una linea vocale completamente doppiata che ricalca il chorus di “The Final Gambit” risuona come un corno dalle nostre casse, ma a farla da padrone è il riff portante che merita un posto nella storia, uno di quei riff che ti lascia inebetito, ti travolge senza pietà alcuna.

Mentre il chorus finale svanisce lentamente io mi ritrovo incise ancora una volta le lettere del nome SLOUGH FEG nella mia mente, convinto che solo pochi arditi possano contestare loro il trono di migliore band Heavy Metal degli U.S.A., e ancora meno la palma di band classicissima ma allo stesso tempo personalissima.
Parlando di Heavy metal classico, “Traveller” è sicuramente il miglior disco dell’anno, a mio parere, e spero fortemente che gli SF ottengano almeno la metà di quello che si meritano, nel qual caso sarebbero già famosi.
Nota finale per registrazione e packaging impeccabili (la Dragonheart ha decisamente corretto il tiro ultimamente), e un artwork veramente spettacolare.

Tracklist

1. The Spinward Marches
2. High Passage/low Passage
3. Asteroid Belts
4. Professor’s Theme
5. Vargr Moon
6. Vargr Theme/confrontation (genetic Prophesy)
7. Baltech’s Lament
8. Gene-ocide
9. Curse Of Humaniti
10. The Final Gambit
11. The Spinward Marches (return)
12. Addendum Galactus

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Genere:
Anno: 2003
90