Recensione: Traveller
Ritorna sulle scene uno dei cantanti di maggior talento e spessore usciti dal calderone ribollente dell’hard rock di fine anni ottanta.
Danny Vaughn, eccellente singer e bravo compositore, ha in effetti impiegato un po’ a ritrovare la via di casa: dopo gli esordi scoppiettanti targati Waysted ed il brillante periodo con i Tyketto, durato sino al 1993 (e culminato nel 1991 con lo splendido ‘Don’t Come Easy’), ben pochi acuti hanno caratterizzato la carriera del frontman statunitense, riservando un lungo periodo di oblio e silenzio interrotto saltuariamente da qualche progetto di scarsa visibilità ad inizio millennio.
Nel 2004 invece la grande svolta: la pubblicazione di ‘From The Inside’, album di buonissimo melodic AOR rimembrante gli antichi fasti, arrivava per restituire nuovo lustro e fama alla bella voce del singer americano, riconfermandolo ancora come uno tra i migliori e più espressivi interpreti del settore.
Lasciato scorrere il tempo necessario e riordinate definitivamente le idee, ecco infine giungere il momento di ‘Traveller’, disco della nuova e decisiva consacrazione di Vaughn al genere musicale che più gli appartiene: il rock ruvido e sincero, velato da grandi slanci di romanticismo, figlio della tradizione americana più tipica e genuina che ha nelle immagini di libertà, spazi aperti e, per l’appunto, nel concetto di “viaggio”, alcuni dei propri capisaldi inamovibili.
A partire dalle melodie scelte, proseguendo per i suoni a concludere con i testi, ogni aspetto sembra infatti congeniato e realizzato per comunicare sincerità e schiettezza, rivelando una identità ben definita e di facile interpretazione che si inserisce appieno nella tradizione del rock a stelle e strisce.
Prendendo ad esempio in esame alcuni brani come l’iniziale ‘Miracle Days’, la title track ‘Traveller’, il possibile hit single ‘Lifted’ e la epica ‘The Warrior’s Way’, risulta davvero impossibile non constatare come i toni siano volti ad un genere di espressione dal profilo altamente cantautoriale, dai risvolti emozionali e suggestivi che vanno a chiamare in causa le varie influenze a cui Vaughn fa riferimento, equamente suddivise tra southern rock, blues, hard rock più classico, Beatles e Springsteen.
Inutili i paragoni, che in tanti vorrebbero promuovere, con il già citato ed impareggiabile ‘Don’t Come Easy’ targato Tyketto.
A fronte infatti, di una persistente e tangibile anima hard rock, che si concentrava in pezzi cromati e di facile presa come ‘Forever Young’ e ‘Standing Alone’, abbiamo questa volta invece canzoni a tratti più soffuse come ‘The Touch Of Your Hand’ e ‘Better By Far’, episodi più sofferti e sentiti che si perdono nei meandri del vissuto e mettono in risalto un artista a tutto tondo, di grande sensibilità e con ancora molto da dire.
Melodie epiche, melodie polverose, melodie romantiche e soffuse, l’intero campionario viene adeguatamente rappresentato con un nucleo di brani concepiti per avere un anima palpabile ed una elevata comunicatività, confermando capacità e robustezza artistica di un talento definitivamente recuperato alla causa.
Ben fatto Danny e bentornato!
Tracklist:
01. Miracle Days
02. Badlands Rain
03. Traveller
04. Restless Blood
05. That’s What She Says
06. The Touch Of Your Hand
07. Lifted
08. The Warrior’s Way
09. The Measure
10. Think Of The In The Fall
11. Death Of The Tiger
12. Better By Far
Line Up:
Danny Vaughn – Voce / Chitarre / Mandolino / Tastiere
Tony Marshall – Chitarre
Pat Heath – Chitarre
Steve McKenna – Basso
Lee Morris – Batteria