Recensione: Tres Cabrones
“Tres Cabrones”, nuovo parto di questo 2013, è di fatto una raccolta di canzoni già pubblicate in altre occasioni su vari split ed EP disseminati negli ultimi trent’anni, inframmezzate da alcuni brani inediti piuttosto gustosi e da un paio di mattane tipicamente Made in Melvins. Un album, quindi, dissacrante e ad alto tasso di cafonaggine, perfettamente a proprio agio all’interno di una discografia a dir poco nutrita, nella quale lavori “seri” (termine da prendere quanto mai con le pinze) si alternano con un ritmo quasi febbrile ad un numero pressoché indefinito di divertissement di questo genere. Ed è veramente fantastico notare come, anche laddove palesemente scherzino (come in questo caso, con la temporanea messa a riposo di Coady Willis e di Jared Warren, in favore dello spostamento di Dale Crover al basso e del richiamo all’ovile di Mike Dillard), Buzzo & Co. siano in grado di assestare dei colpi decisamente notevoli sotto tutti i punti di vista.
Le iniziali “Dr Mule” (già edita nello split con gli Helmet) e, in particolare, “City Dump” (presente nell’ultimo EP “Gaylord), sono già di per loro due colpi da KO: mazzate su mazzate di stoner/psych/hard(core) rock suonato con un tiro addirittura esagerato e reso ancora più folle dalla voce ora cantilenante ed ora declamatoria di Osborne. Due pezzi da novanta che colpiscono in pieno volto con la forza d’urto di un tir a quattro assi. “American Cow”, come d’altronde la seconda metà della spettacolare “Dogs And Cattle Prods”, rallentano fino a lambire i confini dello sludge/doom, eppur mantenendo tutta l’enfasi e la carica ritmica di basso e chitarra. Salgono di nuovo le pulsazioni con “Psycho-delic Haze”, un brano a base di stoner/doom, psichedelico (manco a dirlo), sabbathiano e completamente fuori di testa, in cui il grigio-crinito cantante dà libero sfogo a tutto il proprio istrionismo e alla propria teatralità. Segue “I Told You I Was Crazy” che, in piena coerenza con un titolo assolutamente rivelatorio, ci propone un’intro a base di effetti elettronici e distorsioni su cui si innesta un altro di quei fantastici riffoni a metà strada tra sludge, doom e stoner che tanto bene riescono al King. Il finale è a dir poco fantastico: un immaginifico coacervo di chitarre iperdistorte, vocals filtrate, ritmiche ossessive e atmosfere da incubo che termina laddove era iniziato. Avviandoci verso la conclusione e pur non avendo ancora speso alcuna parola per i tre brani “tradizionali” che i nostri mattacchioni preferiti infilano a viva forza tra composizioni di una pesantezza (sonora) inaudita, le bizzarrie non sono in ogni caso ancora finite. Con la breve ma letale “Stump Farmer”, infatti, i The Melvins sconfinano in territori groove, ed il risultato è di nuovo da applausi, pur nella sua assurda semplicità, per poi gettarsi a capofitto nel punk più grezzo e minimale con le divertenti e rockeggianti “Walter’s Lips” (cover dei The Lewd) e “Stick ‘Em Up Bitch”.
Ce n’è per tutti i gusti insomma e, pur nell’intento dichiaratamente goliardico e provocatorio di questa release, i Tres Cabrones riescono a farci divertire con una dose massiccia di violenza, ironia e geniale follia schizoide, alla faccia dei trent’anni suonati di carriera che tante band hanno rammollito. Se vi par poco…
Stefano Burini