Recensione: Tres Hombres
Siamo nel 1973, e in questo periodo nessuno ancora pensava (probabilmente perché nessuno si poneva il problema) che gli ZZ Top sarebbero stati riconosciuti, ai giorni nostri, fra le massime istituzioni mai avutesi nell’ambito del movimento southern e blues rock americano. Partiti bene con l’esordio “ZZ Top’s first album” e proseguiti meglio con l’eccellente “Rio Grande Mud”, il trio texano prende letteralmente il volo con “Tres Hombres”, che entra prepotentemente nelle charts, diverrà disco d’oro e sarà fondamentale pilastro di una carriera che vedrà fare sfracelli(soprattutto negli Usa), sia a livello di popolarità che di vendite, al trio formato da Billy Gibbons, Dusty Hill e Frank Beard. Questo masterpiece del movimento rock sudista mostra ancora la band nella sua prima incarnazione, ovvero quella di blues rock band ancora in parte (come si vedrà fra qualche riga) priva della straripante elettricità che caratterizzerà il trio più avanti (soprattutto nei lavori futuri, vedi ad esempio il capolavoro “Eliminator”). I Numerosi classici contenuti all’interno del platter riflettono chiaramente quanto feeling e carisma avessero i tre (ed hanno tuttora) pur evidenziando uno stile che tutto aveva tranne che tecnica a bizzeffe, ed anzi faceva dell’essenzialità un altro punto di forza. In poche parole un mix di straordinaria efficacia. Come in qualsiasi album degli ZZ Top nessuno dei tre musicisti prevale sugli altri perché se è verissimo che le principali parti ruotano attorno al tandem dei barbuti Gibbons e Hill, non si può fare a meno di notare quanto i tempi siano ben dettati da Frank, che agisce sullo sfondo senza pretese ma sempre padrone della situazione. La prima Hit ci si para di fronte non appena parte il disco, trattasi di “Waitin’ for the Bus”. Non ingannino la semplicità della song (peraltro dotata di un gran bel riff), la sua brevità o le sue liriche tutto tranne che complesse e/o fantasiose, non è infatti questo lo scopo della traccia. Alzi però la mano chi non si trova catapultato, volente o nolente, in atmosfere e ambienti del tutto non convenzionali. Proprio questa atmosfera è l’asso nella manica di Waitin’, che per questo è diventata così popolare fra i fan della band. Non da meno, anzi, la seconda canzone (e seconda hit), dal titolo “Jesus Just left Chicago”, vera e propria celebrazione dello spirito sudista (Jesus che lascia Chicago per il feeling di New Orleans e la magia del Mississipi). Anche qui il sound è essenziale e nonostante ciò ispiratissimo e carico di significati ed emozioni che vanno ben oltre i virtuosismi musicali. Decisa accelerazione con quella che io reputo uno dei capolavori assoluti del trio di Houston, la briosa e facilmente ballabile “Beer Drinkers & Hell Raisers”. Qui la decadenza delle due precedenti tracks viene decisamente abbandonata per un mix esplosivo, dove i musicisti scatenano tutto il loro spirito selvaggio. Grandioso il ritmo di un semplice quanto letale Hill, una mareggiata l’assolo di Gibbons, per l’ennesimo brano 5 stelle. Un pelo sotto ma sempre di gran livello anche il mid tempo “Master of Sparks”. Più lunga e dalle liriche più articolate, la song si distingue per l’essere un ideale connubio fra le prime 2 tracce e la terza, e narra di un ipotetico viaggio che Billy effettua chiuso in una gabbia, che un camionista tiene sul retro del suo mezzo. Purtroppo il viaggio non è dei migliori, e la gabbia cade dal camion, lasciando il nostro guardacaso sull’autostrada che collega il golfo (del Messico) alla beneamata Houston, la “Highway Six”. Tornato alla base il chitarrista e la sua band ci deliziano con la quinta, struggente, “Hot, Blue and Righteous”, un lento venuto veramente dal cuore del midwest. Estremamente malinconico il suonato, molto bella la doppia voce (quando usata) e in sostanza grande lento ed intermezzo, che lascia appagati. Ritorno all’esplosività con la goduriosa “Move me on down the Line”, concentrato di energia e scintille. Il riff portante è grandioso e riflette l’anima più hard del combo, che veramente fonde musiche e atmosfere dell’America Confederata come pochi altri han saputo fare. Sulle stesse linee ma ancora più concrete e deliranti (nonché esplicite nei testi) sono le successive “Precious and Grace” e “La Grange”. Se la prima è forse la canzone più pazza dell’album (parla di due prostitute), basata su una grande batteria e su riffs che vanno dallo scuro all’eplosivo (e tutti ugualmente coinvolgenti), la seconda è probabilmente la track più famosa degli ZZ Top (sicuramente una delle prime 3). Dedicato al “miglior piccolo bordello del Texas” (appunto La Grange), il pezzo (uno dei più amati da Gibbons) è dotato di un giro di chitarra che definire travolgente è poco. Come sempre nun esiste un vero e proprio ritornello, piuttosto un tutt’uno che scorre come impetuosa corrente, che lascia senza fiato dall’inizio alla fine (per inciso, fra i pezzi degli ZZ, la canzone è terza nelle mie preferenze delle “veloci”, dopo “Legs” e “Sharp Dressed Man”). Un attimo di respiro, dopo questo vivacissimo trio, ci è concesso col mid tempo “Shiek”, molto leggero e pure bello ruffianotto. Tutto si basa su una chitarra decisamente riconoscibile e su una voce udibile fra mille. Decisivo l’apporto di Beard, che forse qui per la prima volta supera in sonorità il primo piano dei suoi compagni, che se la giocano fra la lucida follia della 6 corde e riff spezzettati del basso. Bello anche il cambio di tempo che ci porta alla conclusione del brano e quindi alla closer “Have You Heard”, un rewind nel profondo sud che richiama tantissimo la “decadenza” di inizio disco, con forse minore ispirazione ma maggiore melodicità e (giuro l’ho notato solo ora) con una presa in giro, come se i Top dicessero agli ascoltatori “Avete sentito? Eh avete sentito?, che roba!” (da cui il titolo della song stessa). Io da ascoltatore direi, “Si ho sentito e volete sapere una cosa?, siete spaziali!”. Perché tale è l’effetto del disco, spaziale, sempre se si riesca a entrare nello spirito giusto (e non tutti ce la fanno), grande testimonianza (per tanti la migliore e per me solo un pelo sotto “Eliminator”, ma per ragione affettive, trattandosi di 2 prodotti molto diversi) di una trio da decine di milioni di dischi venduti, tutti in maniera strameritata.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Waitin’ for the Bus
2) Jesus Just left Chicago
3) Beer Drinkers & Hell Raisers
4) Master of Sparks
5) Hot, Blue and Righteous
6) Move me on Down the Line
7) Precious and Grace
8) La Grange
9) Shiek
10) Have you Heard?