Recensione: Trilogy: Burn Out the Remains
Gli ucraini Kzohh intraprendono un viaggio straziante nella storia più cupa dell’umanità. Un percorso di sole tre tappe nel quale, a piedi nudi, si cammina sul fango intriso di sangue che puzza di morte.
Tutto ha inizio in una grotta umida e oscura dove il seme della peste inizia a germogliare, a fortificarsi ed a proliferare. ‘Panoukla DXLII’, la prima traccia dell’album, è dunque un’inesorabile marcia funebre di tredici minuti che ti prende per mano e ti accompagna nel buio della disperazione. É una ferita aperta dai ritmi cadenzati nei quali strisciano lenti canti gregoriani intrecciati a sonorità tipicamente medio-orientali. Una voce ruvida e crudele si appresta ad accompagnarci passo dopo passo tra un’infinità di salme irriconoscibili, vittime della prima pandemia documentata: la Peste di Giustiniano. Essa si diffuse tra il 541 e il 542 in tutto l’Impero Bizantino, fu la causa di milioni di decessi e prese appunto il nome dall’imperatore Giustiniano I che governava in quel periodo.
Ma la malattia, come il male, una volta debellata chiude gli occhi, non scompare e si evolve. Dopo circa 800 anni riappare sotto il nome di Peste Nera (‘Crom Conail’ in lingua irlandese) e con la falce affilata miete una nuova infinità di vittime. Altri tredici minuti in cui si resta aggrappati al mantello freddo della morte che, sospinto da un vento iniziale, volteggia in tutta l’Europa. I ritmi si fanno più crudeli ed il volo funebre acquista una certa dinamicità sostenuta dalle gelide correnti delle tastiere. La voce spinosa di un demone scorre in questa lunga arteria nella quale fluisce pazzia, sconforto e decadenza.
Il pozzo del dolore è un baratro infinito e i Kzohh ci si buttano a capofitto per dar vita alla traccia finale.
Dopo il primo conflitto mondiale, dopo tutte le lacrime versate, dopo una miriade di vite amputate, ecco emergere una nuova piaga: l’Influenza Spagnola. ‘H19N18’ è dunque l’ultimo triste atto della rappresentazione più lugubre dei castighi divini inflitti al genere umano. I suoni agghiaccianti della guerra si dileguano lasciando emergere, dal campo di battaglia, il maleodorante odore di un’infezione malvagia. Si tratta dell’imponente febbre pandemica che fu capace di mettere a nudo la debolezza dell’intera umanità al cospetto della natura, facendo più vittime della Grande Guerra.
In un’avanzata pesante e velenosa, gli ucraini mascherati conducono le sventurate anime in un abisso senza pietà dal quale emergono anche voci infantili che bruciano nel vuoto.
Con questo lavoro la band chiude quindi il capitolo, iniziato nel 2014, riguardante le pandemie che hanno messo in ginocchio il genere umano nel corso della storia.
‘Trilogy: Burn Out the Remains’, accompagnato da un DVD live, dimentica le caratteristiche tipiche del black metal a favore di un sound sperimentale, a tratti meditativo che lascia l’ascoltatore in uno stato di estasi angosciante. Un sentiero non facile da percorrere a causa di una staticità sonora che ne accentua la salita.
Nonostante ciò, non reputo questo disco un passo falso, ma piuttosto un’impronta marcata che i Kzohh hanno avuto il coraggio di lasciare nel doloroso pantano della morte.
Daniele Ruggiero