Recensione: Tripsis

Di Alberto Fittarelli - 8 Novembre 2007 - 0:00
Tripsis
Band: Alchemist
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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82

Gli Alchemist buttano una
luce nuova su una scena troppo spesso snobbata, perché lontana, spesso
sconosciuta ai più e decisamente poco pubblicizzata sui media: quella
australiana. Sappiamo, in ambito estremo, quanto l’isola/continente abbia
partorito negli ultimi due decenni, e soprattutto di che grado di violenza e
rozzezza siano stati capaci “canguri” come i Destroyer 666, i Sadistik
Execution, i Rok, ma anche gli elaboratissimi, moderni e violenti The Amenta, i
classici christian-deathsters Mortification o i tecnici Psycroptic.

Tutto questo per dire che invece gli Alchemist
dicono qualcosa di completamente nuovo, rientrando tra l’altro solo lievemente
in campo estremo. Più che altro è la voce urlata del singer Adam Agius a
dare alla loro musica una dimensione violenta che, per il resto, è sì presente
nella sezione ritmica e in chitarre figlie del thrash più moderno, ma ben
mescolata a un ambiente avantgarde che non è giusto definire in altro modo:
pura sperimentazione.

Per dare qualche doveroso riferimento agli appassionati di musica
intelligente, possiamo dire che gli Alchemist
odierni suonino come una versione riveduta, corretta e decisamente personale dei
migliori Strapping Young Lad, quelli tra City e SYL; un thrash/prog/industrial
che in realtà è giusto definire solo come metal moderno, spesso diretto e
violento, più spesso ancora elaborato e cerebrale. Ottime le atmosfere
moderniste, urbane, date da suoni come quello delle chitarre, specialmente nelle
parentesi dilatate come l’intro di Nothing in no time; grandiosi i
momenti epici, trascinanti di cori come quelli di Tongues and knives e
dell’opener Wrapped in a guilt; riuscito e calzante l’artwork, basato sul
contrasto blu/rosso, colori freddi/caldi.

Sostanzialmente tutto il disco si segnala per momenti di rilievo, dandoci
l’impressione che gli Alchemist
abbiano curato particolarmente la sezione ritmica, grazie anche all’ottima prova
di un batterista come il fondatore Rodney Holder, cercando di creare soundscapes
cari particolarmente a gruppi come gli Hacride, i Textures e i
sottovalutati Phaze I: cemento, ferro, fuoco e tanto, tanto buio anche
per un gruppo che non si è mai lasciato andare ad ambientazioni banalmente e
forzatamente “oscure”; e proprio per questo, probabilmente, risultano
verosimili.

Sono le parti arpeggiate, pulite delle chitarre degli Alchemist
a dare la necessaria profondità ad un suono lanciato a 1000 all’ora verso il
futuro: quello che una raccolta come Embryonics
sembrava voler preannunciare, chiudendo un importante (e lungo) capitolo
passato. Ora hanno al giusta visibilità, grazie al contratto con Relapse:
speriamo solo che la gente si accorga davvero del loro valore.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

Tracklist:

1. Wrapped in Guilt 04:34 (mp3)
2. Tongues and Knives 05:15
3. Nothing in No Time 05:50 (mp3)
4. Anticipation of a High 04:34
5. Grasp the Air 04:36
6. CommunicHate 04:26
7. Substance for Shadow 04:50
8. God Shaped Hole 05:05
9. Degenerative Breeding 03:47

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