Recensione: Triumph or Agony
Ho volutamente atteso finora prima di scrivere e poi pubblicare la recensione di Triumph or Agony affinché l’ultimo disco dei Rhapsody of Fire venisse ben digerito prima di tutto da voi lettori e contemporaneamente da chi scrive. Il titolo dell’album mi ha incuriosito fin dalle prime dichiarazioni alla stampa da parte del management del gruppo: Trionfo o Agonia, una sorta di duello all’ultimo sangue fra le due anime che da sempre dividono i metallari, soprattutto italiani, nel momento in cui si discute del combo triestino.
Già, perché i Rhapsody (ora Rhapsody of Fire per problemi di copyright a livello mondiale), nella nostra amata penisola pare che non possano beneficiare delle mezze misure: o si amano o si odiano… peculiarità che una volta veniva definita come un vanto, e rappresentava un patrimonio esclusivo dei grandi. Le accuse dei detrattori più che altro poggiano sulla presunta staticità compositiva della band dopo aver trovato la ‘via’ giusta per il successo e sul fatto che i primi e sospiratissimi concerti dal vivo si rivelarono una cocente delusione… quindi si sprecarono slogan come ‘Trallalà Metal’ e ‘Happy Hollywood Metal’, ovviamente nella loro accezione negativa. Il dato oggettivo è che i Rhapsody of Fire hanno inventato un genere: il cosiddetto ‘Hollywood Metal’ – ora modificato in ‘Film Score Metal’ – e che siano una band italiana conosciuta a livello globale, fatto accaduto per primi a loro in tutta la storia dell’HM nazionale.
A supportare quanto scritto sopra basti pensare a quanti in questi ultimi anni abbiano anche solo cercato di “rubare” loro il segreto per proporre heavy metal sinfonico di livello, e che hanno miseramente fallito. Triumph or Agony per la prima volta nella loro storia contiene al proprio interno due veri mid tempo: una scelta fortemente voluta dai Nostri, come mi ha confidato Alex Staropoli nella lunga intervista che ho pubblicato qualche settimana fa sempre su TrueMetal.
Triumph or Agony
Dopo l’intro sinfonica d’ordinanza Dar-Kunor il sound dei triestini si mantiene pomposamente scoppiettante ed energico nei primi due brani: la title track Triumph or Agony e Heart of the Darklands, con la prima dal riffing piuttosto arcigno che esplode in un chorus epico e operistico mentre la seconda si rivela una canzone dal sapore antico che richiama le bordate dei primi dischi, con le sfuriate power accompagnate da quel retrogusto prog-metal che fece la fortuna dei Nostri. Old Age of Wonders è una notevole ballad medievale dal sapore celtico che vede il duetto fra Fabio Lione e Cinzia Rizzo, ragazza dotata di un tocco molto gentile che fornisce il proprio importante apporto alla musica dei Rhapsody of Fire come accadde a suo tempo in Forest of Unicorn. Ottimo l’uso dei flauti all’interno del brano.
Si cambia decisamente registro con The Myth of the Holy Sword, il primo vero mid tempo della storia dei Rhapsody of Fire. L’idea di dare più respiro al songwriting, come dichiarato da Alex Staropoli, è maturata dopo la notevole esperienza dal vivo acquisita: sul palco i pezzi veloci tendono a venire soffocati dalla doppia cassa a 180, per cui alla fine è un gran tourbillon, mentre un brano potente ma cadenzato sicuramente sortisce l’effetto di caricare di più l’audience. E in questo senso The Myth of the Holy Sword colpisce nel segno: l’avere frequentato parecchio i Manowar giova sicuramente ai nostri compatrioti che riescono a bilanciare l’arrembante sezione ritmica con la tipica espressività sinfonica che da sempre caratterizza il trademark della loro proposta musicale.
Il Canto del Vento risulta essere il primo brano scritto da Fabio Lione all’interno della carriera della Rapsodia di Fuoco e personalmente l’ho apprezzato tantissimo, proprio perché un po’ fuori dagli schemi, testo bizzarro incluso! Il singer riesce, rigorosamente in lingua madre – scandita forse fin troppo per esigenze di mercato mondiale –, condotto dalle note solenni di un piano, a fare il pieno di drammaticità, consegnando ai posteri il miglior brano in italiano comparso su un disco dei Rhapsody nella loro storia. Silent Dream ha il pregio di essere soavemente orecchiabile grazie a un ritornello in crescendo che non fa prigionieri, e presumo diverrà un appuntamento fisso negli imminenti concerti.
E si arriva finalmente al secondo mid tempo di Triumph or Agony, Bloody Red Dungeons: altro pezzo che figurerà in pianta stabile nelle prossime esibizioni dal vivo. Liriche in italiano si alternano ad altre in inglese per un brano possente dalle ritmiche cadenzate che gronda di stacchi epici e teatrali. La seguente Son of Pain è un lento sinfonico e struggente che fa un uso massiccio dell’orchestra consegnando all’ascoltatore la voce di Fabio Lione splendida protagonista tra un coro e l’altro. The Mystic Prophecy of the Demon Knight è la classica suite che non può mancare in un disco dei Rhapsody of Fire: oltre sedici minuti di estasi sinfonico-metallica dove, suddivisa in cinque parti, si estrinseca la summa compositiva di Turilli & Co. Quindi “via” al Rhapsody-sound che li ha resi famosi nel mondo: grandi orchestrazioni, musica classica, Lione che passa dal morbido allo scream, secche accelerazioni seguite da repentini rallentamenti, attori che recitano i personaggi del concept (Christopher Lee e Susannah York) in un concentrato di suono mirabile e completo. Si chiude con Dark Reign of Fire, probabilmente l’essenza del ‘Film Score Metal’, tanto caro ai Nostri.
Triumph or Agony è il disco della definitiva maturazione, scevro di passaggi a vuoto, figlio dell’affiatamento di una band che ha consolidato i propri equilibri sui palchi di mezzo mondo e che molto probabilmente è all’apice della propria carriera: personalmente non vedo l’ora di godermeli dal vivo… rigorosamente in Italia però!
Stefano “Steven Rich” Ricetti