Recensione: Triumvir Foul [LP]
«The corruption of flesh and spirit
Decorate my mind with depravity
Leave me squirming for all to see
Within the tomb of God’s placenta
And walls drenched in my foul emanations
Emanations of lust and decay
Hail Vrasubatlat!»
L’agghiacciante monito che deriva dalla blasfema invocazione a Vrasubatlat e alla sua filosofia non può rimanere inascoltata: i Triumvir Foul, mostruoso trio proveniente da Portland, lo urlano a pieni polmoni, facendolo echeggiare nelle più profonde caverne dell’Ade.
Lo spaventoso incipit dell’opener “Labyrinthine – The Blood Serpent Unwinds”, del resto, è lì apposta, per sollevare i muscoli peliferi a causa di arcaiche sensazioni di pericolo; ricordando, per ciò, l’intro degli intri, cioè l’apertura di “Hell Awaits” degli Slayer (“Hell Awaits”, 1985). Arcaico. A proposito, sicché ben pochi altri aggettivi riescono a forgiare così bene lo stile dei Triumvir Foul. Death metal puro vecchia scuola, rabbioso, primordiale, involuto. Chiuso su se stesso, incupito, morboso. Feroce nel rappresentare l’inversione dei normali dogmi sui quali si fondano le culture moderne. Apparentemente segnate da una fallace positività che, non a caso, rivela una palpabile ipocrisia e rifiuto (nascosto) degli stessi valori ovunque propugnati alle masse.
L’idea di pubblicare – oltre alla versione su CD, uscita l’undici dicembre scorso – anche su vinile “Triumvir Foul”, debut-album del terzetto dell’Oregon, non è solo un vezzo modaiolo dell’underground più sepolto. Il flavour analogico, difatti, si sposa a meraviglia con lo scellerato muro di suono eretto dal bestiale growling di Ad Infinitum, dal putrescente riffing di Absque e dal malato drumming di Cedentibus. La furia demolitrice prodotta dall’immane cozzo degli strumenti mulinati da tali loschi figuri è assolutamente inarrestabile. Un fiume in piena di lava nera, che rallenta a dismisura nelle anse per accelerare sino alla follia dei blast-beats nei tratti rettilinei. Quasi si passasse, senza soluzione di continuità, dal funeral doom al raw black metal. Senza mai venir meno all’impronta dannata che definisce il dissennato disegno anticonvenzionale dei Nostri.
Fatto che colpisce parecchio, è l’impossibile bontà del songwriting. Un sound così rozzo, tagliato con l’accetta poi rifinito con la carta di vetro a grana grossa, infatti, parrebbe essere refrattario a essere plasmato per originare sufficientemente i singoli brani. Invece, questi ultimi scorrono via con grande fluidità, riuscendo sempre ad attrarre l’attenzione per qualche passaggio diverso dagli altri, per qualche dinoccolata accelerazione che spinge in direzione delle tenebre che oscurano il centro della Terra. Come il terremotante riff portante di “Carnal Spectre”, song in grado di sovvertire l’ordine naturale delle cose per trasportarle nel Regno di Vrasubatlat, ove imperano depravazione, lussuria, decadimento, morte.
E il pregio principale di “Triumvir Foul” nonché la bravura dei Triumvir Foul è proprio questa: saper imbastire dei pezzi da allucinazione totale, apparentemente uguali nella loro dimensione amorfa, ma al contrario diversi nei contenuti armonici e ritmici. Molecole di una stessa cellula. Cellule di uno stesso tessuto. Marcio, puzzolente, repellente. Patologicamente destinato all’eterna dannazione e decomposizione.
Daniele D’Adamo