Recensione: Trivmvirate
Ma che gli è preso? Ricordate i The Monolith Deathcult di The White Crematorium? Bene, resettate quasi completamente tutto quello che sapevate della formazione olandese e preparatevi a una grossa sorpresa. Evidentemente i nostri si erano stufati di essere appellati come cloni di altre band molto più famose, e hanno deciso di cambiare completamente le carte in tavola, cercando e trovando una via del tutto personale per esprimersi, in cui i non sembrano essersi posti dei limiti ben precisi, stravolgendo il sound a cui eravamo abituati, enfatizzando alcuni elementi del passato e apportandone di nuovi.
Trivmvirate segna un nuovo corso per gli olandesi, una nuova direzione artistica che era stata anticipata da alcune dichiarazioni rilasciate mesi fa, ma che non ci aspettavamo essere così brusca. Diciamo subito che la prima sensazione è spiazzante: chi si aspettava, come me, l’ennesima bordata brutal, sarà rimasto di sasso. Le parole chiave del nuovo corso dei The Monolith Deathcult sono: atmosfera, ed elettronica. Atmosfera perchè i nostri hanno accentuato enormemente il lato epico della propria musica, non solo attraverso una variazione sul riffing, ma proprio sull’esasperazione del ruolo delle tastiere, delle orchestrazioni, mettendo mano in modo pesante sul songwriting. Un sottofondo di tastiere era presenta anche nel disco precedente, ma in Trivmvirate vengono ad assumere un ruolo fondamentale nel tessere le trame dell’intero disco. Non a caso la band aveva arruolato subito dopo la pubblicazione di The White Crematorium un tastierista a tempo pieno, Carsten Altena. Tastiere e synth, comportano maggiore melodia, che non rende la musica dei nostri vicino a un certo death metal nord europeo; qui il concetto di melodia è in funzione a una continua ricerca di patos, di momenti epici e magniloquenti, andando di pari passo con le chitarre. Non solo tastiere, perchè in Trivmvirate trovano spazio anche vere e proprie orchestrazioni, che si inseriscono molto bene nel tessuto di un disco comunque molto violento. Elettronica perchè i ragazzi hanno “industrializzato” il proprio stile, anche qui con elementi tipici, come beat, sample, basi e quant’altro, assecondando anche in questo caso la stesura dei brani, lasciando da parte le strutture tipiche in favore di brani più lunghi, e più complessi, sfoggiando anche voci robotizzate, dando un tocco “cibernetico” al platter.
Nonostante questi cambiamenti, l’altra parolina chiave, quella che alla vigilia stavamo maggiormente aspettando, ovvero brutal, non è stata dimenticata dai The Monolith Deathcult, facendone un uso parsimonioso, dando sfoggio a tutta la potenza che ricordavamo in un contesto musicale radicalmente differente. Prevalgono rocciosi up tempo, ritmi decisamente più rallentati e dilatati, in cui si inseriscono con precisione sfuriate alla velocità della luce, che però non fanno più da elemento portante come in passato, ma piazzate sempre in funzione del brano. Dei vecchi olandesi sono rimaste le vocals catacombali, anche queste rivisitate, gli assoli slayeriani, la vena “melodica” del riffing, una leggera componente doom, umorismo nero, e la passione per gli avvenimenti più tragici della Storia.
Nasce così un brano come Deus Ex Machina, inaugurato da una base elettronica, su cui inseriscono evocativi canti gregoriani, in un crescendo che porta lentamente allo svolgimento del brano, che si snoda tra rasoiate furiose, rallentamenti, cambi di mood, elettronica, voci distorte, e cori in sottofondo, in cui l’ascoltatore è in grado di apprezzare lo spettro emotivo su cui agiscono questi musicisti. Una canzone che fa selezione, che mette in guardia sul prosieguo di Trivmvirate, a cui segue senza sosta il pezzo più immediato della scaletta, Wrath of the Baath, probabilmente il più vicino allo stile passato: una base brutal su cui i nostri cuciono alla grande i nuovi elementi, inaugurando anche accenti “tribali” ripresi poi in seguito. Quello che più stupisce è come i The Monolith Deathcult siano riusciti ad amalgamare tutte queste influenze, non inventando niente da zero, ma integrando influenze disparate e fondendole in qualcosa di personale, quasi sempre con una lucidità molto buona, con una maturità sufficiente per poter giungere a una sintesi organica del tutto, lasciando solo alcuni momenti un po’ troppo pretenziosi. Come ad esempio nella terza Kindertodeslied, una canzone veramente lontana anni luce dai canoni della band, in cui troviamo per la prima volta una voce in scream, andamento thrashy, campionamenti vari e un inserto coristico cantato dai ragazzini protagonisti del brano. In Trivmvirate le sorprese non finiscono mai, e con la seguente Master of the Bryansk Forest sono le orchestrazioni a fare la voce grossa, per un pezzo che è un continuo susseguirsi di momenti sempre più incalzanti, arrivando a quel piccolo capolavoro di M.M.F.D.: canzone strumentale in cui affiorano le influenze doom della band, con chitarre solenni ed espressive che lasciano via via il posto a melodie orientaleggianti, con uno splendido vocalizzo femminile sul finale, da brividi lungo la schiena. Echi di Devin Townsend nella sesta I Spew Thee Out of My Mouth, sempre splendidamente inseriti nel contesto particolare del disco, su cui poi i nostri costruiscono una brano dalla notevole complessità, e “ritorno” alla violenza con Demigod, in cui fanno capolino percussioni e cori tribali, e pure una parte della colonna sonora del Padrino parte II, non il famoso motivo della saga, ma quello della processione nella vecchia Little Italy in cui il giovane Don Vito uccide il boss locale. Ultimo capitolo per la monumentale Den Ensomme Nordens Dronning, praticamente una summa di tutto quello che si è ascoltato sin qui, con sprazzi di puro black metal e ritornelli in pulito, tanto per mettere altra carne sul fuoco…
Insomma, da quello che potrete capire da questa descrizione, Trivmvirate non è affatto un disco qualunque, di quelli usa e getta in grado di farsi apprezzare dopo un paio di ascolti… Qui i The Monolith Deathcult hanno fatto veramente un lavoro enorme nel mettere insieme una mole di idee e spunti così importante e variegata, e ancor più difficile deve essere stato mettere in atto tutto ciò, curando ogni singolo secondo di questa ora di musica in modo maniacale, tanto da scorgere sempre col passare degli ascolti particolari nascosti, oltre fare l’orecchio a canzoni per nulla assimilabili in breve tempo. Come da tradizione è stata data grande importanza ai testi, sempre incentrati su temi storico/politici: avremo quindi Saddam e Ali “il chimico” come protagonisti di Wrath of the Baath, alcuni giovani berlinesi a cui la propaganda nazista aveva lavato il cervello, mandati a morire nonostante la disfatta tedesca in Kindertodeslied, la lotta tra spartani e persiani in Demigod, o la tragica vicenda del sommergibile nucleare sovietico Kursk in Den Ensomme Nordens Dronning, ognuno con le relative didascalie e citazioni a margine.
Un disco difficile, per nulla modesto, in piena linea con lo spirito dei The Monolith Deathcult, che tra il serio e il faceto, non hanno mai dubitato delle proprie capacità. Un full-length curato sia nella produzione, che nella veste grafica, che vi terrà impegnati per diverse ore. In un mercato sempre più omologato, dischi coraggiosi come Triumvirate sono solo da supportare.
Stefano Risso
Tracklist:
1. Deus Ex Machina 09:13 (mp3)
2. Wrath of the Baath 05:28 (mp3)
3. Kindertodeslied 07:13
4. Master of the Bryansk Forest 06:33
5. M.M.F.D. 03:31
6. I Spew Thee Out of My Mouth 08:16
7. Demigod 05:18
8. Den Ensomme Nordens Dronning 14:05