Recensione: Trouble and their double lives
A distanza di due anni da Existence is futile, tornano i Cradle of Filth con un nuovo ed incredibile disco, Trouble and their double lives, un live che mancava dalla loro ricca discografia dal lontano 2002, anno in cui uscì Live Bait for the Dead.
Prodotto, mixato e masterizzato da Scott Atkins presso i Grindstone Studios nel Suffolk, Inghilterra, il disco è stato registrato dal 2014 al 2019 durante il Cryptoriana Tour e date successive – difatti non include i brani dell’ultimo Existence is futile, ed è impreziosito da due brani inediti.
Trouble and their double lives è confezionato in modo eccellente con un artwork accattivante – per perfetto stile Cradle of Filth – ed è disponibile in diversi formati, tra cui digitale, cd e, per il vinile, in diverse varianti colorate, oltre ad una versione Die Hard e Deluxe box, quest’ultima in numero limitato a – ça va sans dire – 666 copie.
Il disco è un prodotto eccellente, di elevati standard qualitativi – ed è la prima differenza che emerge rispetto al già ottimo Live Bait for the Dead; anche perché, i Cradle of Filth sono una band che è valida non solo a livello compositivo e di arrangiamenti vittoriani, ma anche dal vivo: i loro concerti sono momenti incredibili, in cui si può assaporare la forza dei loro brani, molto più che ascoltando un cd o un vinile. Il carisma di Dani Filth è il principale catalizzatore delle attenzioni, perché è un grande frontman e, nonostante i numerosi cambi di line up in oltre 30 anni di prestigiosa carriera, gli standard qualitativi sono sempre stati davvero molto elevati, nonostante la complessità della loro musica.
Si parte forte, con il primo inedito, She is a fire, un brano che parla di amore in perfetto stile Cradle of Filth, tra lussuria e magia: l’incipit è tetro oscuro, con un riff di chitarra convincente, dalle note e sfumature molto heavy. Ed ora, si entra nel cuore del disco con Heaven torn asunder, uno dei capolavori della band inglese, contenuta in Dusk and her embrace – molto azzeccata la scelta di aprire la scaletta con un “classicone”. I Cradle hanno un vasto repertorio e, comprensibilmente, la scelta dei brani da inserire sarà stata particolarmente ardua, andando a pescare tanto nel loro passato glorioso (Dusk and her embrace, The cruelty and the beast, Midian, Bitter suites to succubi, Damnation and the day), passando attraverso lavori più discutibili (Nymphetamine) e arrivando fino agli ultimi dischi (Godspeed on the Devil’s thunder, Hammer of the witches, Cryptoriana). Bellissima la versione di Blackest magick in practice, che dà ampio respiro alla loro teatralità e sapienza di musicisti: un pezzo di difficile esecuzione, che in presa diretta potrebbe creare qualche grattacapo, ma il risultato è davvero eccezionale. Passare dal growl allo screaming è davvero un’impresa molto difficile, soprattutto all’interno della stessa canzone: Nymphetamine riassume al meglio le capacità di questo straordinario cantante, forse uno dei migliori del metal più estremo. Con Desire in violent overture, si alzano i giri, e ci prepara al momento più alto del disco, ovvero Bathory Aria, il brano che probabilmente sintetizza, al meglio, la storia e il talento della band inglese: una vera e propria oscura suite, che raccoglie il lato malinconico, oscuro, malinconicamente decadente e violento dei Cradle of Filth. Giunti al giro di boa, c’è un altro inedito, Demon prince regent, ovvero un’altra gemma che poggia le sue basi su una convincente base ritmica ,che si muove tra mid e uptempo, in cui si alternano riff graffianti oscuri dal retrogusto heavy, con un ritornello azzeccatissimo e orecchiabile, che entra facilmente in testa. Heartbreak and Seance è un’altra certezza, brano di difficile esecuzione e suonato magistralmente così come Right wing of the Garden Triptych. E per i più nostalgici c’è un altro capolavoro del passato, Haunted shores, la loro personalissima esegesi della storia di Re Artù, Morgana e Camelot. Si chiude in pompa magna, con la straordinaria e sempreverde Lustmord and Wargasm, altra perla di Cruelty and the Beast, e You will know the Lion by his claw.
Un disco dei Cradle of Filth viene accolto, da una parte del pubblico, con grande sospetto e il perché è da ricercare nella loro musica: si muovono, come graziosi e leggiadri funamboli, tra black, death, symphonic e gothic metal, senza mai dare la sensazione di “appartenere” in modo totale ad una delle suddette tipologie, attirando così le critiche della fanbase di ognuno di questi generi. In realtà la loro musica si è evoluta nel tempo, andando a sperimentare soluzioni e sonorità diverse, con coraggio, commettendo anche qualche passo falso, ma va detto che da Hammer of the Witches in poi, sono tornati ai livelli di eccellenza ai quali ci hanno abituato. “La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario”, è una frase di Albert Einstein, che probabilmente riassume al meglio la carriera e la loro storia. Loro sono tutto ciò, e probabilmente, attraverso i decenni, potremmo affermare con assoluta certezza che non è una musica che si può riporre in un solo classificatore, ma ce ne sono diversi in cui potrebbero essere inseriti. Sono i Cradle of Filth, né più né meno: sanno scrivere e comporre musica, a volte in modo ruvido, a volte in modo delicatamente lussurioso, altre in modo violento. Ma sono anche una grande live band, e questo non è un fattore scontato, con uno dei migliori cantanti della storia della musica più estrema. Trouble and their double lives ha il merito di far conoscere questo aspetto del gruppo, che a volte passa in secondo piano, ma anche il pregio, di raccogliere il meglio della loro carriera: questo album, quindi, rischia di diventare un must have non soltanto per i fans, ma anche per agli amanti della musica in senso più ampio.
Dopo oltre trent’anni di carriera, i Cradle of Filth sono ancora più vivi che mai, e questo live lo dimostra più che mai: hanno fermato il tempo. Che siano davvero vampiri?