Recensione: True
In questa estate torrida, cosa chiedere di meglio se non un album del cantante prog per antonomasia, supportato dalla sua ultima live band? Appurato il successo del tour 2023 al fianco dei The Band Geeks, Jon Anderson ha deciso di proseguire la collaborazione con i musicisti di supporto per creare materiale in vista di un nuovo disco. Con questi intenti, True nasce in sostanza come progetto che vuole rilanciare il sound Yes ma senza essere necessariamente derivativo. L’album è stato co-prodotto, ingegnerizzato e mixato dal bassista e direttore musicale dei The Band Geeks, Richie Castellano, e il gruppo è nel pieno di un nuovo tour in questo momento.
Vediamo se il disco conferma la bontà degli intenti messi in campo oppure no. I primi due pezzi in scaletta, “True Messenger” e “Shine On“, sono brani dalla durata contenuta e compongono il primo tassello dell’album. Vogliono evidentemente mettere a proprio agio l’ascoltatore regalando quanto tutti si aspettano. E allora ben vengano nell’opener strofe melodiche e linee di basso gagliarde su cui ricamano chitarre spigolose e sbarazzine. Tutto funziona alla grande, inclusa la coda del brano che si fa di colpo aspra e oscura mostrando le capacità eclettiche dei The Band Geeks. “Shine On” è il singolo che ha convinto gli aficionados di Anderon già mesi fa dopo l’uscita del relativo video diretto da Tom Flynn. Le sonorità sono vicine a quelle di 90125, quindi parliamo di musica leggera e trascinante che trasuda ottimismo, disposizione d’animo incarnata alla perfezione dalle linee vocali pulite del cantante ex-Yes.
La prima composizione più articolata e progressive in scaletta è la successiva “Counties and Countries”. L’avvio è puro pomp rock da manuale. Siamo su livelli degni degli Spock’s Beard e dei recenti Big Big Train, ma a rendere tutto unico è la voce di Jon sorretto da seconde voci all’altezza e un comparto strumentale che include parti di chitarra acustica, pianoforte e sintetizzatori smaglianti. La parte centrale è un viaggio tra contee e paesaggi sonori che lascia soddisfatti e rasserenati. A tratti sembra la magia dei primi Yes, attualizzata quanto basta, ma siamo nel 2024… Ciò non toglie che l’ascolto è piacevole e nel finale non manca un assolo di tastiera da leccarsi i baffi.
Dopo una mini suite così ben fatta, è tempo di abbassare i bpm. Troviamo, quindi, la prima traccia sui tre minuti in tracklist. “Build Me an Ocean” pecca forse di eccessiva sprezzatura, risultando una ballad riuscita a metà, però permette di rifiatare in vista del prosieguo dell’album. Anche “Still a Friend” non va oltre il discreto, le sonorità sono troppo prevedibili. Meglio “Make It Right“, altra ballata sognante con un po’ di gospel nel finale. “Realization Part Two” è il secondo pezzo dal minutaggio più contenuto. Le sonorità sono vicine a quelle di certi Toto, una piacevole sorpresa, ma il pezzo è poco longevo.
E siamo al cuore del platter. “Once Upon a Dream” è la suite che vale l’acquisto di True: sedici minuti di progressive old-school che hanno come punto di riferimenti capolavori come “Close to the edge” e “Awaken”. L’avvio è un crescendo vigoroso: voce, armonizzazioni, intrecci di basso e chitarra, tastiere e pianoforte. La sezione onirica che inizia alla fine del settimo minuto è da pelle d’oca (oltre agli Yes vengono in mente i The Flower Kings di “Garden of dreams”). L’acme assoluto del brano è al minuto dodicesimo, con l’ingresso scenografico di un synth di organo che non può non ricordare quello di “Close to the edge”. Da menzionare anche l’assolo di chitarra che accompagna il finale, da riascoltare più volte. Il disco si chiude con un’ultima traccia corta. “Thank God” è una sorta di elegia moderna, il message to God che Jon Anderson sente di cantare arrivato sulla soglia degli ottanta anni. Non siamo sui livelli di “You and I”, ma un po’ di commozione sorge spontanea di fronte a testi così profondi e semplici al contempo.
In conclusione, True è il risultato dell’alchimia che si è creata tra il grande highlander Jon Anderson e i The Band Geeks, signori musicisti che sorreggono il mostro sacro confezionando un album di rara freschezza e prodotto in modo cristallino. Jon rilancia, infatti, il suo trademark con un album che punta sull’effetto nostalgia, ma al contempo dimostra quanto la sua ugola possa continuare a essere un vero ansiolitico puntando sulla spontaneità che lo ha reso il guru del prog dagli anni Settanta. Questo album rivaleggia tranquillamente con la nuova incarnazione degli Yes (con Steve Howe e Billy Sherwood in line-up) e richiama i fasti del precedente 1000 Hands. A tutti buon ascolto!