Recensione: Trust
Torniamo ad occuparci dei vogheresi Never Obey Again, che, a distanza di solo un anno dal precedente album d’esordio “The End Of An Era”, tornano con il secondo lavoro sulla lunga distanza, “Trust”, nuovamente sotto l’egida di Scarlet Records.
Una fase creativa particolarmente intensa oppure la necessità di emergere con nuovo materiale? Non è dato saperlo, probabilmente entrambe le cose, tuttavia è interessante tenere nei radar una band che fin dal primo momento ha messo in atto in modo assolutamente integrale un approccio do-it-yourself, dove praticamente nulla è affidato ad esterni alla band e che ha da subito messo in evidenza una fortissima serietà, grazie anche al fatto che i musicisti coinvolti fanno o puntano a fare della musica la loro professione. Nota a margine: una band underground resterà tale se non presidia a dovere le proprie piattaforme social, non interagisce con la fan base benché limitata o latita dal vivo.
Fatta questa premessa, immergendosi nell’ascolto di “Trust”, subito si percepiscono gli elementi già emersi nel lavoro di debutto: produzione all’avanguardia e suoni moderni, un ottimo bilanciamento tra la voce di Carolina Bertelegni e il reso degli strumenti, in un mix organico ed efficace. Ma è abbastanza semplice identificare due elementi nuovi, che permettono ai Never Obey Again di progredire nella loro evoluzione: innanzitutto, il fatto che la vocalist abbia preso il coraggio di aggiungere alla voce pulita numerosi passaggi in scream, elemento che permette alla band di esplorare nuovi territori. Inoltre, se il primo lavoro, pur interessante, era caratterizzato da una forte dipendenza da soluzioni chiaramente prese in prestito da band di punta quali Linkin Park ed Evanescence, ora questa dipendenza è sicuramente diminuita e il gruppo inizia a dimostrare una propria personalità. Dal modern metal degli anni 2000 ora ci si è spostati verso qualcosa di molto più contemporaneo e più -core (Spiritbox, In This Moment, The Architects se proprio dobbiamo fare dei nomi), dove la melodia è inserita in ritmiche compresse, cariche di stop’n’go e di nemmeno troppo velati rimandi al djent, in alcuni casi, al prog metal più moderno in altri.
La tracklist è relativamente omogenea pur senza essere monotona, dove ogni pezzo è un potenziale singolo, senza comunque cadere nella banalità. Brani brevi, immediati, la cui orecchiabilità è raggiunta in modo intelligente. Continue alternanze tra momenti più isterici e passaggi più soft, improvvisi stacchi cadenzati e fughe melodiche – “G.O.D. (Given Or Denied)” è un valido esempio in questo senso. Con il primo singolo “Never Feel, Never Fear” tutto ruota attorno alla splendida linea melodica disegnata da Carolina, che con disinvoltura passa da un cantato energico e rock ad uno stile più rotondo, al limite del soul, fino a spingersi in uno scream niente affatto forzato. “Give Me A Fuckin’ Break” è stilisticamente simile e certamente si presterebbe a diventare un singolo con la sua immediatezza, mentre “Under My Skin, Before Your Eyes” si fa apprezzare per l’eccellente lavoro di chitarra solista. “Control” suona più sofisticata, con suoni sintetici e una melodia vocale a tinte pop, discostandosi relativamente dal resto del lavoro, pur garantendo break compressi al limite del djent sul finale. Con “Wish” il pensiero corre immediatamente ai Lacuna Coil più recenti ed è certamente un esempio di scrittura moderna e sofisticata.
“Trust” è un album che suona maturo, strizza l’occhio alle mode più recenti, senza perdere però un grammo in qualità; i musicisti riescono a trovarsi a proprio agio nei contesti più diversi (sufficiente in questo senso fare caso ai tanti passaggi al limite del prog metal, à la Temic o Vola, per intenderci, sparsi qua e là per il disco). Lavoro enorme delle chitarre a cura di Alessandro Tuvo e Alex Pedrotti e il nuovo batterista Marco Binda (ex Mortuary Drape, Dark Lunacy) è in grado di allontanarsi dal suo background più classico per cimentarsi in strutture ritmiche certamente più all’avanguardia.
I Never Obey Again hanno quindi confezionato un “prodotto” valido senza aver fatto ricorso ad aiuti esterni, molto professionale e decisamente poco provinciale, con, tra le altre cose, un Inglese perfetto nella pronuncia ed evoluto nella costruzione sintattica dei versi. In sostanza, non il solito sympho-pop-metal con cantante femminile tanto inflazionato, quindi, ma un metal contemporaneo niente affatto dozzinale (per una volta tanto).
Avevamo chiuso la precedente recensione auspicando una crescita in termini di personalità e ciò è avvenuto. Con “Trust” il gruppo ha messo in atto un’evoluzione naturale ma effettiva, dimostrando di avere qualcosa da dire all’interno del panorama musicale di riferimento, a livello di contenuti, iniziative e giusta attitudine per emergere. Segnatevi questa uscita, io se avessi una fiche da giocare, la punterei proprio sui Never Obey Again.
Vittorio Cafiero