Recensione: Tulimyrsky EP

Di Daniele Balestrieri - 20 Maggio 2008 - 0:00
Tulimyrsky EP
Band: Moonsorrow
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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88

La ricerca dell’anima nascosta tra i solchi dell’ultimo V: Hävitetty è terminata da poco, eppure la grande forgia Moonsorrow è già pronta a stupire di nuovo i propri fan. Come una tappa obbligata, è giunto anche per i cinque finlandesi “il momento dell’EP”, e anche se il solo concetto di “EP” sembra impossibile da collegare a un progetto musicale da sempre estremamente prolisso, la naturale inclinazione della band a costruire brani apocalittici di durate fantasmagoriche è riuscita ancora una volta ad avere la meglio persino sulle convenzioni di mercato.

Tulimyrsky significa “tempesta di fuoco” e la copertina ritrae uno scenario glaciale e apparentemente senza vita (basta girare la confezione, invece, per trovare un senso all’artwork e l’ennesima consacrazione al viking metal dei Moonsorrow); tale improbabile dicotomia sembra quasi rispecchiare allegoricamente la confusione generata dall’accostamento altrettanto improbabile tra la parola “Monsorrow” e il concetto di “disco breve”.
Breve nella tradizione e nel prezzo (appena 9,50 euro), ma non nella sostanza. Tulimyrsky consta infatti di una unica traccia monumentale di 29 minuti e 45 secondi affiancata da quattro brani satellite (cover e riedizioni) per un ammontare di oltre sessanta minuti di gelido heathen finlandese.

Affrontare l’enormità della traccia che porta il nome di “Tulimyrsky” è un’opera titanica: tra i suoi solchi si respira l’ennesimo grande esperimento di grandeur nordica che sta letteralmente riscrivendo la storia dell’epica post-bathoriana a colpi di visioni mozzafiato, di sterminati campi di battaglia, di fiumi ruggenti e distese di ghiaccio dove brulicano piccoli camei recitati da personaggi senza tempo che dipingono in colori ora tetri e ora vibranti degli scenari finora ad appannaggio di grandi uomini come Bathory o Falkenbach.
La grande opera teatrale Moonsorrowiana, divisa nei nove atti tradizionalmente ascrivibili alla perfezione ultraterrena della mitologia norrena, ci viene presentata da un narratore che in cupo finlandese ci conduce per mano attraverso enormi segmenti di continuità sorprendente e di pathos quasi palpabile: i riff, sterili e serrati come in un ritorno ai tempi di Voimasta ja Kunniasta, sottolineano la volontà mai celata dai 5 alfieri del pagan di non soccombere all’epic disperato e malinconico di band docilmente adagiate su un letto di ricordi come Folkearth o Menhir,  ma al contrario di mostrare zanne e artigli e di aggredire gli ascoltatori con la ferocia di chitarre ancora sferzanti nonostante la maturità compositiva, e di tastiere tutto sommato pompose ma sapientemente dosate e ben distribuite nell’arco dell’intero svolgimento di questo raro poema eroico nordico.
Ed ecco che, proprio grazie all’ostentata ferocia, risaltano vividi più che mai i momenti più introspettivi di questa traccia-fiume, momenti in cui l’onda di piena delle chitarre laceranti e delle percussioni al fulmicotone si concede il lusso di dipingere un pastore che rincorre il proprio gregge tra un riff e l’altro, una istantanea micidiale che proietta l’ascoltatore in quell’universo crudele e primigenio a cui i Moonsorrow ci hanno abituati. Gli arrangiamenti sono ancora una volta frutto di un lavoro certosino da parte dei due Sorvali, in grado di regalarci uno degli incipit più drammatici ed esplosivi della storia dell’epic moderno (provare per credere), cortesia naturalmente di Ville, e uno dei crescendo corali di chiusura più coinvolgenti mai sentiti negli ultimi anni, cortesia del sempre più bathoriano Henri.
Quest’enorme Tulimyrsky si assesta in modo abbastanza anomalo nella linea temporale dei Moonsorrow: la cervelloticità – ma non la dialettica – di Hävitetty è stata momentaneamente accantonata per tornare alla ricerca di una furia più tipica di Voimasta ja Kunniasta, se non addirittura di Metsä.
L’immediatezza della traccia pilota, aiutata sicuramente dalle parti recitate, è figlia di un perfetto connubio tra la celebrata prosodia di Kivenkantaja e la crepuscolarità di Verisäkeet, evidenti nel cavallo di battaglia Karhunkynsi che porta ben più di una similarità con questa Tulimyrsky. È lecito dunque considerare questo feroce poema epico di trenta minuti come una succulenta anteprima dell’album prossimo venturo? Difficile dirlo; probabilmente questo EP rappresenta più il rispetto di una tradizione scandinava di ‘passaggio alla maturità’ (Ensiferum, Finntroll, Månegarm, Amorphis…) che un’anteprima di ciò che verrà. I Moonsorrow sono sempre inclini a stupire, e la seconda parte di questo EP non tradisce le aspettative.

Ancelle dell’opera d’arte di apertura sono due versioni rimaneggiate di due vecchi brani, “Taistelu Pohjolasta“, apparso per la prima volta sul demo “Tämä Ikuinen Talvi”, già riedito in formato CD e modificato in più punti dalla Sagittarius Productions, e “Hvergelmir“, apparso sull’ormai rarissimo secondo demo “Metsä”. Entrambe le tracce sono state interamente risuonate e ricantate, vuoi per le pessime condizioni in cui versava la registrazione originale di Hvergelmir e vuoi per la strumentazione (e la tonalità, prontamente aggiustata in fase di restauro) traballante di Taistelu Pohjolasta. Entrambe le tracce sono state dotate di cori di sottofondo e sottoposte al trattamento Moonsorrow che vede grandi profondità delle chitarre, interazione ben congegnata tra la ritmica del basso e gli accompagnamenti di tastiera e ancora una volta sferzanti linee vocali di Ville Seponpoika Sorvali, con una voce sempre più simile a quella di un corvo appena nato.
Voce che senza dubbio deve aver faticato non poco a mantenere la postura pulita durante la registrazione della celebre “For Whom the Bell Tolls” dei Metallica: una vera chicca per chi non ha mai sentito il cantante dei Moonsorrow pronunciare liriche comprensibili e una emicrania assicurata per chi non riesce a immaginare i Metallica lontani dagli stereotipi del Thrash novantiano.
Sia For Whom the Bell Tolls che la struggente “Back to North“, cover dei Merciless, sono state infatti completamente stravolte e rilette in chiave epica, un modus operandi già conosciuto alla storia dell’heathen metal grazie a quel gioiello perduto che è “Epicus Dominius Satanikus”, semisconosciuto bootleg di Bathory del 1995 pubblicato esclusivamente in vinile che contiene quattro storiche cover rilette in chiave epico-corale: sentire Ace of Spades dei Motorhead con lo stesso piglio di Shores in Flames è davvero un’esperienza trascendentale, e le stesse vibrazioni in chiave Bathoriana sono riuscite a propagarsi per 13 anni fino al 2008 e a riproporsi in queste due divagazioni rispettivamente epic-thrash ed epic-heavy. Chi l’avrebbe mai detto.

Un EP per veri intenditori, l’ennesima consacrazione dei Moonsorrow tra i ‘grandi’ del panorama viking-pagan del nuovo millennio. Pieno dominio delle facoltà musicali e intellettuali, grande gusto compositivo, profilo tutto sommato basso e opere di gran pregio stilistico rendono i Moonsorrow una band unica nel proprio genere, al di sopra di un mainstream heathen europeo che sembra rabbrividire alla loro ombra ma che al tempo stesso sta iniziando a reagire, perché grandi sono gli scontri in atto nel firmamento del pagan metal: noi da terra ne vediamo solo i bagliori e ne percepiamo i tremori, ma una nuova nave si profila all’orizzonte e i Moonsorrow potrebbero essere accompagnati nel loro tragitto da un nuovo, grande alleato germanico, altra grande sorpresa del 2008.
Il conflitto per l’album viking dell’anno è appena iniziato.

Daniele “Fenrir” Balestrieri.

TRACKLIST:

1. Tulimyrsky
2. For Whom The Bell Tolls (Metallica cover)
3. Taistelu Pohjolasta (2008 version) 
4. Hvergelmir (2008 version) 
5. Back To North (Merciless cover) 

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