Recensione: Tunguska 1908
Tunguska, Siberia. Mattina del 30 giugno 1908. Un’esplosione terrificante, improvvisamente, squarcia, sconquassa, devasta la quiete della foresta. Milioni di alberi rasi immediatamente al suolo, spazzati via come fuscelli da una forza spaventosa, incalcolabile, aliena.
Una furia mai vista, mai conosciuta dalla Storia dell’Uomo. Furia. ярость, in russo. Cioè, Yarast. Come la band di Roma che, dell’indescrivibile evento, ne ha estratto un concept-album. “Tunguska 1908”, appunto. Full-length che coincide con il debutto discografico, dopo cinque anni di gavetta.
Un tema affascinante – trasfuso peraltro in questione politica, che si sposa assai bene – per l’energia prodotta – con il death metal. Vigoria musicale e megatoni, insomma. Anche se, come stile, i Nostri non sono degli esploratori delle lande più oltranziste del metallo più estremo. Quanto, piuttosto, degli epigoni del melodic death metal. Certo, non troppo, melodico. Non si tratta difatti di gotenburg metal o di melodeath quanto, invece, di death metal massiccio, robusto, coriaceo, venato nondimeno da un mood istintivamente accattivante. Volto a ricercare maggiormente il colpo di fioretto a vece di quello di spada.
Apparentemente l’apertura con la title-track, ‘Tunguska 1908’, lascerebbe poco spazio a voli pindarici. L’incedere è rapido, seppur non eccessivamente, il muraglione di suono ben definito, granitico. Ma, improvvisamente ecco l’apertura melodica. Niente di stucchevole, niente di catchy. Però, sufficientemente gradevole sì da rendere più digeribile il malloppo. Un modus operandi che è alla base del songwriting di Matteo Boccardi & Co. Che si ripete, quindi. Bilanciando la brutale aggressività del growling di Boccardi stesso con le raffinate cesellature delle asce della coppia David Ceccarelli / Daniele Foderaro (‘Распyтица’). Oppure, imbastendo un ritmo scoppiettante, trascinante, dirompente, sino a lambire la soglia dei blast-beats, atto a sostenere la drammatica discesa dell’inverno nucleare figlio del fall-out (‘Nuclear Winter’).
Malgrado gli Yarast abbiano saputo costruire con efficacia una propria identità sia musicale, sia testuale, il meccanismo compositivo delle varie canzoni non riesce a staccarsi da una certa scolarità. Un po’ come se, girato l’angolo di una via, non ci fosse alcuna sorpresa. E ciò per l’intero percorso immaginario compiuto fra le maglie delle congetture fanta-politiche delle tematiche. Imperniate sia sulla durezza della guerra fredda scatenata dall’ex-URSS, sia sull’immaginario scenario internazionale di un Mondo non dominato dalla cultura anglosassone.
Nonostante il pacchetto sia stato preparato con tanta cura e passione, a esso manca il fiocco. Non c’è, in pratica, quel qualcosa in più che imponga all’ascoltatore di reiterare i passaggi di “Tunguska 1908” nel lettore mp3. Con che, nemmeno poi tanto tardi, cominciano inevitabilmente i primi sintomi della noia. S’è ascoltato ben di peggio, a tutti i livelli, quindi gli Yarast ce la fanno in ogni caso, a galleggiare sulla superficie di separazione fra giudizio sufficiente e giudizio insufficiente.
Alla folta schiera dei fan dell’italian death metal spetti l’ultima parola, però: “Tunguska 1908” può piacere per via della sua neutralità e perfezione formale, e anche parecchio.
Daniele D’Adamo