Recensione: Tunnel Of No Light

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 23 Marzo 2016 - 14:38
Tunnel Of No Light
Band: October Tide
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2013
Nazione:
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75

Non è mai troppo semplice recensire album come questo in esame. Per nessuna ragione in particolare, non fosse per il fatto che dischi di questa risma, in bilico tra due generi (il death e il doom), in genere sono sempre pensati e costruiti per essere assimilati un po’ alla volta, proprio perché l’introspezione che li ha ispirati non è quasi mai un fattore palese, ma fa parte di un percorso, o se si vuole di una certa quale attitudine nel suonare, che può piacere o no, ma non è da e per tutti. Si corre quindi il rischio di un giudizio troppo superficiale, oppure di converso, di uno troppo arzigogolato. 

Chiariamoci. 

Non è che questo disco non possa essere ascoltato e magari non possa piacere anche a chi al death/doom di matrice che mi piace definire, classica non sia avvezzo: lungi da me dall’affermare che si debba far parte di qualche consorteria per percepirne il valore. Solo, ovviamente, bisogna essere consci che le canzoni degli October Tide vanno ascoltate secondo una certa predisposizione mentale che possa portarle a essere apprezzate dopo ripetuti ascolti, visto che di episodi di spicco, o che quantomeno saltano subito all’orecchio, ce ne sono pochi. Se non uno solo, ovvero “Emptiness Fullfilled”: una canzone che investe l’ascoltatore con ondate di sensazioni frustranti e angosciose, che trascinano per tutta la durata dei suoi sette minuti circa, mettendo in evidenza un doom di gran classe con qualche punto di contatto con il funeral, seppure costruito secondo una radice death melodica che molto presto sfocia in una parte centrale suonata con semplicità, pur essendo molto efficace nella sua cupezza. 

Per il resto invece, i brani suonano legati gli uni agli altri, e questo forse è il filo conduttore di “Tunnel Of No Light” con i precedenti lavori della band, fatta eccezione per “A Thin Shell”, episodio a parte. Inutile negare, perché sarebbe ridicolo, che le influenze di tutta quella scuola di genere, lo ribadisco, che anche i primi Katatonia hanno contribuito a rendere tale (non dimentichiamo, a proposito, che gli October Tide in origine non erano altro che una specie di side-project di Jonas Renkse e Fred Norrman, entrambi componenti all’epoca dei Katatonia stessi, e anche oggi, seppur Renkse sia fuori dal progetto, evidentemente non per divergenze artistiche, in quest’album ha collaborato), ci sono e vengono messe perfettamente in evidenza in brani come “Caught In Silence” e “Watching The Drowners”, soprattutto per quanto riguarda la parte strumentale e le classiche chitarre con i riff distorti che si susseguono come parte di una catena senza fine.

In “Tunnel Of No Light” però tutto viene estremizzato e reso più lugubre, lavorando molto sull’atmosfera che se ne ricava di gusto plumbeo, ossessivo e monolitico. In tal senso, una canzone come “The Day I Dissolved” potrebbe ergersi a manifesto di tutto il disco. Durata non sfiancante (parliamo di cinque minuti), batteria lenta e incessante, cantato in growl con un tono però non troppo basso, piuttosto urlato e lacerante: tutto contribuisce alla riuscita di un brano che, secondo me, gli amanti del genere apprezzeranno. Ma se così non fosse c’è anche spazio per episodi un po’ più tirati (ma non esageriamo nel definirli tali: parliamo comunque sempre di composizioni dalla struttura graniticamente doom, non ci piove in questo), come in “In Hopeless Pursuit” dove forse spicca di più il lavoro di Norrman e dove probabilmente l’influenza delle band citate più si fa sentire. 

Dunque alla fine direi che il risultato finale di questo disco è un amalgama di generi e ispirazioni differenti che certamente, bisogna essere onesti nel dirlo, non spiccano in originalità, ma seppure la direzione di questa band è ben delineata e ormai anni di attività (seppure in sordina, seppur discontinui) lo dimostrano. C’è spazio per godere della loro musica, perché viene magistralmente eseguita, e perché il sentimento che questa vuole trasmettere viene ben recepito dall’ascoltatore, e questo non è da tutti. 

Per quanto mi riguarda la loro miglior prova di sempre è rappresentata dal loro esordio “Grey Dawn” (ancora oggi per me è un piacere ascoltare la canzone che dà il titolo al disco), forse però quelli erano altri tempi e altre sensibilità erano maggiormente coinvolte; questo però non toglie valore a quanto gli October Tide, pure grazie all’eccellente e originale prova del nuovo cantante Alexander Högbom, in quest’album hanno fatto. Il voto che esprimo quindi, è da intendersi come paragone per quanto la band ha fatto precedentemente, limite che purtroppo non si riesce a mettere da parte, visti i trascorsi del gruppo stesso. Oggettivamente, questo è un album per estimatori del doom. Un lavoro di classe.

Francesco “Caleb” Papaleo

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