Recensione: Turn Loose the Swans

Di Stefano Pentassuglia - 1 Gennaio 2005 - 0:00
Turn Loose the Swans
Etichetta:
Genere:
Anno: 1993
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
90

Ci sono dischi che possono piacere o non piacere, che possono far emozionare chi li ascolta, che possono far riflettere, dischi da ascoltare velocemente in spiaggia o mentre si fa jogging e dischi che hanno bisogno di tempo per essere assimilati. Poi ci sono dischi che possono solo e unicamente essere adorati in tutta la loro bellezza, senza alcun’altra possibilità: è questo il caso di “Turn Loose The Swans”.

Il primo ed indimenticabile capolavoro dei My Dying Bride vede la luce nel 1993, anno di importanza fondamentale per tutto il filone doom metal moderno, attorno al quale vedranno la luce lavori importantissimi per questo movimento, come i primi album di Anathema, Paradise Lost e Cathedral (“In Memoriam” del 1991 e “Forest Of Equilibrium” del 1992). Eppure, in mezzo a questo mare di uscite importantissime, la luce di “Turn Loose The Swans” brilla più forte delle altre; splendido, magnifico, di una bellezza inconcepibile, è uno dei lavori più importanti nel metal degli anni 90. Un’opera d’arte, da adorare in tutta la sua completezza, in tutta la sua magnificenza.

Un’opera che inizia con le note di pianoforte e di violino di “Sear Me MCMXCIII”, con lo splendido tappeto sonoro di Martin Powell, che rimarrà nella line-up della band (un sestetto all’epoca di quest’album) fino a “Like Gods Of The Sun” dove offrirà il suo ultimo contributo; tutto a far da spalla alla voce lenta e calda di Aaron, in forma perfetta, che sembra voler abbracciare l’ascoltatore con le sue corde vocali.
Si sentono poi pizzicare delle corde, lentamente è iniziata “Your River”. La tensione sale quando la furia cieca delle chitarre arriva a spezzare l’idillio che quest’intro ipnotico era riuscito a creare; è così che una serie continua di riff, tutti diversi ed uno più bello dell’altro, avanza imperterrita sotto uno psicotico violino fino a quando questo mare in tempesta sembra fermarsi per far spazio al cantato di Aaron, tremendamente evocativo. Senza dubbio con i suoi splendidi riff, le sue progressioni, l’atmosfera che riesce ad evocare, “Your River” è una delle migliori canzoni dei My Dying Bride.
Non meno interessante è pero “The Songless Bird”, dove un intro atmosferico cede il passo a dei riffoni tremendamente doom, lenti e pesanti, che stordiscono e lasciano incapaci di reagire (roba da far impallidire i Cathedral), fino a quando la canzone si alza di tono in maniera splendida.
Altro capolavoro dell’album è “The Snow In My Hand”, una canzone semplicemente perfetta, che riesce a racchiudere al meglio tutta l’essenza dei My Dying Bride, da un riff iniziale terribilmente lento e malinconico di chitarra supportato poi dalla voce a violenti attacchi death metal, da riffoni potenti e distruttivi a scenari di desolazione assoluta, fino al finale che riprende il riff iniziale però supportandolo questa volta da un violino malinconico ed ispirato, che chiude la canzone e ci lascia impietriti.
Segue “The Crown Of Simpathy”, una delle canzoni più famose dei Bride (è possibile anche trovarne la versione remixata nella raccolta di EP “Trinity”): questa volta Aaron è davvero autore di una prova maiuscola. E’ la sua voce a dirigere il gioco, a creare una musica ipnotica con riff di chitarra che si stoppano, che rallentano e si incattiviscono, in un gioco di luci ed ombre che lascia senza fiato, con il violino a rendere tutto più melodico e romantico, fino ad un finale di pura e malinconica desolazione.
Poi è il momento di “Turn Loose The Swans”: al primo riff di questa superba canzone mi si gelò il sangue nelle vene. L’incedere della song è un puro connubio tra violento death metal e pesantissimo doom; ma quando tutto si ferma, quando ascolto le chitarre tracciare un tappeto di drammatica malinconia e sento Aaron pronunciare “You are sweet and fine to listen to” l’intensità emotiva è difficilmente controllabile. Inutile parlare del resto della canzone: sarà difficile tenere a bada le proprie emozioni fino al finale, un meraviglioso stacco di batteria che chiude il pezzo in bellezza.
Si arriva esausti all’ultima canzone, “Black God”: ma vale la pena ascoltarla, perchè, come nella loro tradizione, i Bride chiudono questo capolavoro con una canzone lenta, romantica ed evocativa in maniera indescrivibile, tutta retta dal pianoforte e dallo splendido violino di Martin Powell a rendere tangibili i nostri sogni, dalla voce di Aaron e dall’intervento di Zena, con una voce corale femminile davvero azzeccata in questa occasione.

Da segnalare, infine, anche la presenza di tre bonus tracks: “Le Cerf Malade” (che si può ritrovare anche in “Trinity”), la violenta “Trascending” e la meravigliosa “Your Shameful Heaven”, riproposta qui in versione live.

Ultimi album di My Dying Bride

Genere: Doom  Gothic 
Anno: 2020
80
Genere: Doom 
Anno: 2015
70
Genere:
Anno: 2013
72
Genere:
Anno: 2011
75
Genere:
Anno: 2009
70