Recensione: Turn The Hell On
Gruppo sfortunato questo che andiamo a recensire; sfortunato quanto il valore del vinile in questione. Da non confondersi con gli omonimi canadesi,i britannici Fist si formano nel 1978 a Londra attorno alle figure di Harry Hill ( batteria) e Dave Irwin ( chitarra) e ben presto vengono raggiunti dal chitarrista cantante Keith Satchield e dal talentuoso bassista John Wylie.
Dopo un singolo pubblicato dalla Neat nel 1979 intitolato “Name,Runk and Serial Number” che risquote un discreto successo, ecco vedere la luce questo Turn the Hell On, nel 1980. Il disco si dimostra subito e già da un primo ascolto con le carte in regola per rivaleggiare con la miriade di altre bands del movimento n.o.w.h.b.h.m. che di li a poco sarebbe esploso in tutto il suo apice compositivo.
L’album parte alla grande con “Hole In The Wall Gang” song che dimostra subito che qui si fa musica con passione e cuore; riff di chitarra marziali ci conducono al ritornello dove la fa da padrone la timbrica particolare di Keith Satchield, molto calda ed ammaliante anche quando sale su registri più alti. La seguente “The Watcher” è proprio una killer song che fece sbattere più di una testolina in sede live. Un 4/4 stile classico ben supportato dalla sezione ritmica ed un grande assolo di Dave nella parte centrale fanno di questa canzone una delle migliori del disco. Si va avanti con “Collison Course” che segnala pregevoli stop and go che non influiscono nella dinamica della canzone. “You’ll Never Get Me Up” ci delizia con il suo fraseggio chitarristico arpeggiato, il cantato di Satchield ancora più passionale per una quasi ballad da brividi,ora lenta ora più sostenuta, ben coadiuvata dal drummer (sentite il suo tocco soprattutto nella parte finale). Il lato A si chiude con “Forever Amber”, dimostrando che i Fist ci sanno fare anche con i cori, precisi e mai fuori contesto.
Giriamo lato e si riparte con “Living On The Edge” e con il suo incedere marziale, dove il basso non si limita a reggere le note base ma costruisce una melodia nella melodia,intrecciandosi con l’armonia delle chitarre. Molto belli gli stacchi nel chorus ed ancora molto convincente il drumming, possente quando serve ma anche sensibile e più soffuso quando la canzone lo richiede. “Dynamo ( There Is A Place…) parte alla grande con le chitarre in evidenza e la sezione ritmica martellante, un up tempo classico che è sempre un piacere ascoltare. Curioso il ritornello melodico con coro e controcanto in falsetto. “Back Inside” inizia con un bell’assolo di chitarra ed una ritmica decisamente più calma che tanto riprende dalla scuola blues dipanandosi poi su lidi melodici con la chitarra a costruire fraseggi arpeggiati; il basso fa sempre la sua parte dimostrandosi il vero punto forte di questa formazione. Conclude il disco una “Dance Of The Crimson Lady Part 1”, veramente bella sia nell’armonia che nell’impatto, con uno dei più belli assoli di chitarra che si potesse sentire a quei tempi.
Chiaramente la produzione non è ai livelli eccezionali (anche a quei tempi si poteva fare di più) ma l’onestà,il cuore,la passione di questi ragazzi non meritavano certo una fine prematura perchè niente avevano da invidiare ad altre bands. Di li a poco i nostri comporranno un altro disco intitolato “Back With A Vengeance” sempre sotto Neat Records che però risulterà non essere all’altezza del suo esordio e che porterà uno dei gruppi più sottovalutati della storia dell’Heavy Metal britannico allo scioglimento.
francesco noli (barkd)