Recensione: Turn the Light on

Di Daniele D'Adamo - 10 Maggio 2019 - 0:00
Turn the Light on
Band: Imminence
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2019
Nazione:
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80

IMMINENCE Selected Spring Shows FB

 

Stavolta non è la Gran Bretagna, non è la Germania, non sono gli Stati Uniti. È la Svezia, a proporre una band di alto livello tecnico/artistico dedita anima e corpo al melodic metalcore. Del resto, i musicisti scandinavi hanno da anni dimostrato di essere a loro agio con qualsiasi tipologia di rock e di metal. Dal più dolce, come l’AOR, al più amaro, come il death.

Gli Imminence approdano sulla spiaggia del terzo full-length, “Turn the Light on”, che segue gli altri due lavori full: “I” (2014) e “This Is Goodbye” (2017). Una spiaggia fredda, desolata, lambita dall’oceano e dalle sue lunghe onde, anch’esse gelide; spiaggia sulla quale vergare idealmente le note di una musica dall’anima maledettamente malinconica.

Il metalcore del quartetto Trelleborg è di quello che spacca l’anima, fa tremare il cuore, vibra con le vene. Il merito di questa profondità emotiva va ricercata innanzitutto in Eddie Berg, cantante ma anche violinista, che interpreta le sue linee vocali con immensa passione, con uno struggimento talmente vivo ed energico da forare i timpani da parte a parte. Un’ugola che urla disperazione, quando a esserne padrone sono le harsh vocals, ma che sa anche lambire il mondo dei sogni, quando si addolcisce per assumere le morbide, sinuose proprietà insite nel cantato pulito.

Ci sono poi i cori, a rendere spessa la musica dei Nostri, cori tipici del genere suonato, che alimentano visioni di isole lontane, osservate attraverso la lente di ingrandimento che l’aria fredda pone sulla superficie del mare. Oltre ai cori, sia il già citato violino, sia la chitarra di Harald Barrett, disegnano sulla roccia mirabili armonie dalle forme regolari e ordinate ma affascinanti; roccia rappresentata dall’arcigna sezione ritmica rappresentata da Christian Höijer (basso) e Peter Hanström (batteria). Sezione ritmica davvero massiccia, che – nella più classica delle antitesi che formano il melodic metalcore – si rende responsabile di tremendi stop’n’go o breakdown, che dir si voglia. Certo, non si può dire che lo stile dell’act nordeuropeo non sia il massimo dell’originalità, anche se lo strumento tanto caro a Paganini regala un tocco di univocità che non guasta.

Anche perché quel che conta davvero, in questo straordinaria foggia metallica, sono le canzoni. Il momento, in cui, cioè, entra in gioco il talento compositivo, se c’è. E, in questo caso, c’è. Pure tanto. Basta ascoltare il piccolo capolavoro che si chiama ‘Saturated Soul’, brano dalla tanto incommensurabile quanto immediata, semplice orecchiabilità; da assaporare a occhi socchiusi per cogliere al meglio la formidabile melodia che lo regge in alto, molto in alto. Allora, la mente vola, vola, alla ricerca di chissà cosa, forse di qualcosa che renda felici.

Animi tristi e sconsolati. Animi assetati di gioia.

Una possibile euforia che è resa viva, fulgida, palpabile, dall’incredibile coro che, come una colonna dorata, regge tutta la song. Song concepita per entrare definitivamente nella mente di chi ascolta, accoccolandosi in mezzo ai frammenti dei ricordi perenni.

Tuttavia non è solo quella citata, a essere una traccia dal valore artistico sopra la media. Più o meno tutto l’album scorre nella via tracciata dai pensieri che scaturiscono dalla melanconia, dalla nostalgia (‘Disconnected’), innalzandosi verso vette di lirismo assoluto. I lustri scorrono rapidi, si sa, si diventa più vecchi, la memoria accresce di esperienza, s’intravede in lontananza la morte, via via sempre più vicina. Gli Imminence lo sanno, e allora danno vita a una creatura, “Turn the Light on”, in grado di lenire questa innata, leggera, onnipresente sofferenza che segna come un marchio i giorni dell’Uomo.

Chissà, il melodic metalcore nasce proprio da tutto ciò. È possibile. Quello che è certo, invece, è che “Turn the Light on” è un disco che rende onore e merito alla formazione nordeuropea, capace di smuovere i sassi che rendono duro il centro del tutto: il cuore.

Bravissimi!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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