Recensione: Twilight Of Sand
Recensisco con colpevole ritardo l’ultima opera degli Skylark di Eddy Antonini, ma come dice il saggio, meglio tardi che mai. Twilight of sand è arrivato in Italia in punta di piedi perché il gruppo, più che concentrarsi sulla situazione del mercato discografico italiano, ha pensato bene di curare la promozione dell’ultima fatica in Giappone. Ed è proprio nella terra del Sol levante, infatti, che gli Skylark hanno trovato un mare di fan, che affollano ogni loro concerto e che ha portato a suon di acquisti l’ultima fatica della band italiana nella hit parade dei samurai. Un fatto incredibile se pensiamo a quello che succede nel nostro paese, nel quale per fare gli esterofili a tutti i costi ignoriamo i talenti e li facciamo fuggire all’estero. Questo accade in ogni disciplina, non solo nella musica.
L’album, uscito da un annetto, propone una versione più matura, sofistica e raffinata degli Skylark, così come non li abbiamo mai sentititi. La formazione è però quella classica, Eddy alle tastiere e Brodo al basso, e in veste di compositori principali. Rivediamo alle pelli il primo batterista Federico Ria, la chitarra è assegnata al buon Pota.
Il disco include 2 remake di pezzi precedenti del gruppo e una cover, per oltre un’ora di musica, a seconda delle versioni. Il secondo CD del digipack che ho ricevuto propone a sua volta oltre un’ora di nuove versioni dei pezzi con ospiti vari, come per esempio Symbol of Freedom con David De Feis alla voce. Devo ammettere che sentire ruggire il Leone in un pezzo degli Skylark fa una certa impressione… Eddy, ma perché non prendi lui alla voce per il prossimo lavoro?
Ma veniamo al disco principale dell’opera, aperto in maniera solenne da un’intro sinfonica che presenta la voce dalla principessa Ashley Watson, che canta una buona metà dei brani dell’album. Un minuto e mezzo molto promettente che ci riconsegna alle grandi atmosfere della trilogia di Divine Gates.
I fan continuano a sognare con “The Princess and Belzebu”, un bel pezzo ritmato, impreziosito come sempre dalle amate melodie di tastiera di Eddy. Ma ciò che stupisce al primissimo ascolto non è la voce femminile, alla quale ormai siamo abituati, quanto la produzione. Questo disco in fatti suona in maniera così nitida e cristallina che non sembra nemmeno un’opera degli Skylark – senza offese per il gruppo! La batteria è un tappeto sonoro sempre pulito ma mai preponderante. Ogni strumento si esalta della compagnia degli altri e i solo di chitarra e tastiera si seguono con una limpidezza mai sentita. Eddy e Brodo, lo storico bassista della band, avevano proprio ragione. Difficile produrre fisicamente dei dischi di alta qualità senza grossi investimenti monetari. E i soldi da spendere nel rock sono merce rara in Italia. Per fortuna dei fan, gli Skylark hanno trovato le risorse per andare a incidere in Arizona, nei Saltmine Studio.
Lo stupore della prima traccia è interrotto solo da un intermezzo lirico che non mi suona molto azzeccato, ma forse conosco troppo poco il gusto del pubblico giapponese per apprezzarlo.
“She” riprende il classico power metal degli Skylark e lo riscrive in chiave più sofisticata; un altro bel brano, godibilissimo con protagonista la brava Barbara Inzirillo, che canta più o meno l’altra metà dei brani del platter.
“Love song” è uno dei pezzi migliori del disco con un ritmo incessante cesellato dall’onnipresente tastiera di Eddy in modalità clavicembalo. A mio modesto parere, una composizione perfetta, se dovessi tenere un corso su come si compone un pezzo di metal neoclassico, farei ascoltare questo.
Eddy è al centro dell’attenzione anche di “Tears”, impreziosito da un’azzeccata linea vocale, anche se il brano entra nel vivo un po’ tardi.
“Lions are the World” era già apparso nell’album Fairytales e originariamente cantato da Kiara. La nuova versione di questa mini suite parte con due minuti di pianoforte alla “Imagine” e la voce di Barbara per poi cedere il passo alla più classica delle tirate skylarkiane, intervallata da insoliti cori da rock anni ottanta. Ma la parte centrale è la più sorprendente, Eddy estrae dal cilindro un passaggio terzinato ed epico che ricorda i Maiden di Alexander the Great. Una chicca che esalta un bel brano di oltre sette minuti.
La seconda parte del disco scorre rapidamente con brani leggermente meno incisivi e memorabili, ma che lanciano segnali sulla strada che il gruppo si prepara a percorrere, come “The Wings of the Typhon”, che comunque serba tratti di esaltante miscele neoclassiche.
La ballad acustica per piano e voce “Sands of Time” è orecchiabile e ben composta, ma non è per un brano come questo che si compra un disco degli Skylark.
“Mystery of the Night” è molto particolare e i fan del gruppo dovrebbero farci molta attenzione. Eddy ha smesso la maglietta dei Maiden e l’ha sostituita con quella di Bon Jovi. Il brano, molto orecchiabile, sembra un pezzo hard rock – specialmente nel ritornello – in chiave power metal. Segni di un’evoluzione in corso?
“Road to Heaven” non lascia il segno, riascoltiamo invece con piacere la nuova versione di Believe in Love, proveniente da Last Gates e cantata originariamente da Kiara. Qui vivo un conflitto d’interessi, siccome Kiara ora scrive per Truemetal, ma trovo la sua volce più dolce e calda e in generale più azzeccata per questo specifico brano. Non me ne voglia la band!
“Aitakatta” è una cover delle AKB 48, un collettivo di 48 ragazze giapponesi che spopolano nella terra del sol levante. Secondo Eddy è come se negli USA facessi una cover di Madonna. Ci fidiamo sulla parola, il brano è molto giappo e può solo piacere agli appassionati del genere, ma lasciare freddi chi non ne sa nulla.
“Follow Your Dreams” è il pezzo meno Skylark dell’album, con a tratti ritmiche che ricordano quelle dei Gamma Ray. Si fa ascoltare, propone un bel duetto tra Ashley e la voce maschile Fabrizio Girelli, ma non mi convince e non lo annovero tra i brani memorabili.
“Eyes” è una brevissima traccia che sembra posta a chiusura dell’album, quando a sorpresa salta fuori la hidden track “Little Girl”, sembrerebbe nella versione originale di After the Storm. Un tuffo nel 1997 che ci restituisce, con una certa nostalgia, i vecchi suoni impastati, le antiche sonorità quasi maideniane e la voce di Fabio Dozzo.
Twilight of Sand è un gran bel disco e una decisa prova di maturità da parte di un gruppo in circolazione da oltre quindici anni. Lo consiglio con maggior calore a chi non ha apprezzato i lavori precedenti di Eddy e compagni. La nuova produzione unità alla sapiente composizione di questi veterani della nostra scena musicale creano un’eccellente alchimia. Un album consigliato a tutti, sebbene sia abbastanza difficile da reperire. Rimane aperto un mistero. Su Truemetal lo recensiamo con ritardo per un pasticcio di gestione interna del promo, e chiedo scusa personalmente al gruppo per questo. Ero certo però che avrei trovato recensioni su tutte le zine italiane, invece non ce n’è nemmeno l’ombra.
E poi ci si chiede perché gli artisti debbano migrare all’estero per trovare critica e pubblico che ne apprezzino le capacità…
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