Recensione: Two
Nel mare ipertrofico di uscite mensili cui Frontiers sta corposamente contribuendo con nuove pubblicazioni in costante crescita, risulta sempre più difficoltoso focalizzare l’attenzione su qualcosa di particolare.
Complicato, arduo, quasi improbo non perdere per strada qualche novità interessante. Impossibile aver contezza di tutto: davvero troppa roba.
Caso fortuito o fiuto, non è dato di sapere, questo mese ci è capitato di posare l’orecchio su di un disco che, in tutta onestà, ci ha colpito molto piacevolmente per scorrevolezza, eleganza e buon gusto. Elementi forse non proprio “true metal” in senso stretto, parimenti molto graditi, quando a far da protagonista è un album incentrato su sonorità a cavallo tra westcoast, alternative rock ed AOR, arricchito con fascinose venature progressive.
Quello di Dan Tracey, promotore del progetto, è un nome di certo non ignoto al nostro blocco degli appunti: valente strumentista, ha dalla sua una carriera di alto profilo spesa con grossi calibri della musica hard ed una attuale collaborazione con l’immenso Alan Parsons, maestro cui presta la propria opera in qualità di prima chitarra e corista.
Non conoscevamo tuttavia questo side project avviato con Jon Wysocki (ex batterista degli Stained) e Robert Wright (producer di fama), chiamato Save The World e giunto al secondo capitolo in carriera dopo un esordio (fantasiosamente chiamato “One”) edito nel 2017.
Nota di cronaca, il debutto viene riproposto in ristampa da Frontiers proprio in contemporanea con l’uscita del nuovo cd.
Una lacuna che siamo lieti di aver colmato, scoprendo una realtà musicale prodiga di ottima musica, buone soluzioni melodiche ed arrangiamenti di grande classe.
Materiale ricercato seppur non astruso e scevro da leziosaggini fini a se stesse: il buon equilibro tra eleganza e facilità d’ascolto è salvaguardato da una serie di brani decisamente piacevoli e longevi.
Si notano, spesso, numerose affinità proprio con lo stile di Alan Parsons, arricchito però da una componente più tipicamente “rock” degli echi Bostoniani, talora predominante e spiccata,
Non assoluto. Significativamente piacevole.
In due frasi, l’essenza di un prodotto che vive sulla qualità degli arrangiamenti, sui dettagli e sulla cura dei particolari.
L’amalgama sonora è spesso preziosa, raffinata, sintomo di profonda competenza e notevole padronanza della materia: un patrimonio maturato in anni di impegno e militanza
Sensazioni di cui accade d’avvedersi sin dalle prime battute dell’iniziale “Camera Obscura”, mistura di suoni “facili” ma al contempo dotati di personalità, in cui è protagonista un buon crossover tra rock alternativo e pennellate affini al prog.
Altrove prevale l’AOR puro, come nella ipermelodica, solare e spensierata “Miss Muse” ed in “Man on a Island“. Citando i Boston, pensavamo proprio a questo pezzo: quasi ai limiti dell’omaggio in stile “tale e quale”, è un brano che avrebbe potuto comparire nella tracklist del celebre “Third Stage”.
Più in generale, è la scorrevolezza di trame limpide e ariose in piena scia Westcoastiana a dominare la scena (“When Amanda Hits the Stage“, “Denslow Park“, “Automaton“) accarezzando più che pungendo i padiglioni auricolari con moltissima melodia, suoni torniti e grande stile. Caratteri che non inquadreranno probabilmente i gusti dei fan dell’elettricità a tutti costi, o del rock più arcigno: va tuttavia sottolineato come, a dispetto di un taglio molto radiofonico ed a volte vicino a certo pop americano, sia raro imbattersi in cadute di tono o scivolate nella noia.
Non proprio un disco per rocker “duri e puri“. In ugual modo, un cd ben confezionato in cui la musica “alternative rock” nel senso più ampio del termine ottiene pieno compimento e da sfoggio di se stessa.
Bello.