Recensione: Ugly Produce
Terza fatica in studio per gli australiani King Parrot, progetto musicale dedito ad un thrash / grind molto selvaggio e dai ruvidi toni. Citazioni rock echeggiano nei pezzi, spedite fiondate che non cercano però compromessi e che dalla follia grindcore attingono a livello strutturale e di resa delle voci.
Ventisei minuti circa di bile sputata in faccia all’ascoltatore, un crossover di generi che in più punti crea una certa suspance. Non è infatti immediato lo sfogo più estremo degli artisti, schemi che con voci cadenzate scandiscono il count down all’esplosione che dietro l’angolo poi ci aspetta. Figura arrabbiata e stravolta ci urla a pochi centimetri dalla nostra faccia tutto il proprio rancore. Immagini convulse, nevrosi che scorrono lungo gli arti in tremori e sussulti che si conficcano nell’etere.
Dita uncinate si avvinghiano su anima scossa, stremati ci accasciamo a terra storditi da tutto ciò. I giochi di chitarra di ‘Spookin’ the Animals’ sono esempio di come la band abbia radici thrash ed heavy, trame intricate che arricchiscono la bieca brutalità del progetto. Chiaro che “Ugly Produce” proceda spedito lungo il crinale del grindcore senza voler innovare alcunché, ma taluni cambi di direzione e inattesi innesti stuzzichino anche i più esigenti.
L’esigua durata non favorisce il sentore di nuovo dei King Parrot, o perlomeno quel tentativo di voler andar oltre certi clichè resta solo semplice bozza. Saremmo curiosi di vedere maggiormente impiegate le inestricabili sfumature thrash, con una durata maggiore dei pezzi e del full-length, mantenendo però costante l’anima grindcore. E’ giunto il momento di fare quel salto ulteriore per poter vedere gli australiani più in alto nel genere estremo. Al di là di tutto questo troviamo già di per sé tagliente, muscolare ed efficace la proposta, consigliandovene l’ascolto se amate Pig Destroyer, Blood Duster e Terrorizer.
Allo stato attuale delle cose non ci sentiamo di andare oltre certe valutazioni, perché manca quel marchio di fabbrica che li distingua ancora da tutto ciò che li circonda e poi perché la durata dell’album è decisamente esigua. La strada è quella giusta, vedremo se il tempo ci darà ragione oppure torto.
Stefano “Thiess” Santamaria