Recensione: Umbras De Barbagia
VOCABOLI ESSENZIALI:
NUR: La radice Nur della parola nuraghe è di origine prelatina e dovrebbe significare “mucchio di pietre, mucchio cavo“… Questo termine, specie nel secolo XIX, fu messo in relazione con la radice fenicia di nur, che vuol dire fuoco, e fu spiegato come fuoco nel senso didimora o di tempio del fuoco, con riferimento a culti solari che si sarebbero praticati sulla terrazza delle torri nuragiche… Oggi, invece, i filologi propendono a considerare il vocabolo nuraghe come un reliquato della parlata primitiva paleomediterranea, da ricollegarsi col radicale nur e con le varianti nor, nul, nol, nar etc… col duplice significato, opposto ma unitario, di mucchio e di cavità.
BARBAGIA: Vasta regione montuosa della Sardegna centrale che si estende sui fianchi del massiccio del Gennargentu.
Le ombre della Barbagia, ombre che calano sulla vastità di una regione per molti ricca di sole e mare splendido, penetrano all’interno delle vallate offuscano il chiarore, come gelide lame taglienti sino a lasciar nulla, se non il vacuo silenzio al riverbero del vento. Esibirsi su un crinale al centro della Sardegna non è altro che lasciarsi sorreggere dal fluire dell’aria, che violenta e meschina ti ingloba, creando in te la goliardia per un turbinio di malesseri. No, in Sardegna non c’è solo il sole, bisogna vedere, non semplicemente guardare aldilà del flebile apparire. Le somiglianze tra le terre selvaggie della Sardegna e l’Argentina in fin dei conti non sono moltissime, il mare, i paesaggi brulli ed incontaminati, le distese di campi a lasciar morire l’orizzonte possono essere un minimo comune denominatore per portare a compmento questo primo full lenght ufficiale da parte di A., unico membro ufficiale della creatura Downfall of Nur. Due paesi un compositore Italiano che partorisce chiaroscuri in terre sudamericane; non è una favola, ma semplice realtà.
A differenza sua, la mia storia personale con la band inzia un pomeriggio in cerca di nuove realtà in ambito estremo su Youtube, mesi addietro oramai (vi starete chiedendo cosa c’entri questo paragrafo, ma attendente un attimo) mentre setacciavo qua e la, scorgo tra i suggerimenti una copertina bianca e nera, una maschera semi-caprima, l’attrazzione diventa morbosa e dopo pochissimi istanti premo play. Dieci minuti dopo ordino il disco in versione fisica e l’estate si desatura, tutto diventa un minimale gioco di chiaroscuri, tutto ora un senso ricordando le aride temperature di luglio. Umbras De Barbagia mi ha chiamato, così sarà capitato a qualcun’altro ed io, come chi si ritrova in queste parole non faccio altro che alzare un calice di vino al vento ed applaudire questo giovanissimo ragazzo, ricordando un’ennesima volta come in Italia di musica, seria ed introspettiva, se ne può ancora creare. Se stai leggendo fai parte di due casistiche: o ti sei lasciato rapire dalla cover clickandoci sopra automaticamente, oppure conosci la band e ti sei perduto/a dentro dopo pochi istanti. Umbras de Barbagia è così; cattura annichilendo silenziosamente senza accorgersene.
Quattro canzoni per urlare al vento, l’intro è il portale per un mondo fatto di lame taglienti e ululati disperati ricchi di passione per le terre natie dove oggi, un passato glorioso, ha perso il suo vero spirito, distrutto da mecenati affamati di gloria senza il senso della ragione, della cultura, della storia alle spalle di un popolo.
“Enslaved by the ancient lineage
dead in time.
Hidden by modern society
ashes is all that remains.”
La struttura dei singoli brani è pressoché simile, citare The Golden Age, Ashes, piuttosto che la Titletrack risulta futile e fuori luogo; ogni minuto è un macigno, ogni brano incombe sull’altro privandolo ed arricchendolo attraverso silenziose strutture maligne di altri tempi. Non c’è nulla di rivoluzionario, nulla di stratosferico in questo album, sono la sincerità e la spontaneità che vengono alla luce a sorprende costantemente, soprattutto quando si comprende che dietro il progetto c’è un ragazzo di diciannove anni, al suo primo album ufficiale. Gli echi dei Wolves in the Throne Room, la sfumature degli Agalloch con le atmosfere folk tipiche dei Saor; questa potrebbe essere la sintassi di lettura per Umbras De Barbagia. Un album veloce, ma soffocante, pieno di atmosfera in netto contrasto con la voce in sottofondo, sovrastata da quella chitarra sibilante che non lascia spazio a ripensamenti. Cinquantaquattro minuti di vuoto, di riflessioni combinate insieme per il solo scopo di distruggere ogni sentimento al concludere dell’ascolto; esci desaturato, esci sofferente. Gli elementi folk combinati con il black metal di stampo Statunitense vengono realizzati alla perfezione, chiaroscuri, bianco e nero che combattono e si mangiano l’uno con l’altro per sopravvivere. E’ la produzione che in alcuni momenti che ne risente leggermente facendo sperare a “qualcosa di meglio” ma la strada è lunga e per ora va benissimo così.
“Dear Barbagia, your shadows are still alive
in every stone and tree of yours
golden memories of archaic ages,
golden memories of honour and glory.”
Come avrete notato il disco è stato volutamente descritto poco, concentrandosi maggiormente sull’empatia e sulle sensazioni che emergono ad ogni singolo ascolto. Questo è uno di questi casi dove più si parla più si distrugge; siete già in possesso e/o a conoscenza di Umbras De Barbagia? Ottimo! Non avete mai sentito parlare di questo album? Andate, create il buio e cullatevi negli abissi di un terra vicina, mai così lontana come oggi. Buon viaggio.