Recensione: Undead.Unholy.Divine.
Sono il primo a serbare un po’ di diffidenza quando leggo di sedicenti ‘gruppi culto’. Purtroppo le etichette, nello stendere le biografie, marciano abbondantemente su questo fattore, creando più un alone di diffidenza che altro. Ma non basta che un semplice ascolto per capire come i Thanatos potrebbero tranquillamente fare a meno delle parole: che potenza, ragazzi! 40 minuti che non hanno una miglior definizione di Death Metal, nel suo senso più visceralmente intransigente. C’è violenza, passione, cattiveria, anche atmosfera. C’è una scelta sonora impeccabile, un’esecuzione come si deve, un approccio mirato e che non lascia dubbi sulle intenzioni del gruppo. C’è, insomma, tutto quanto serve per estasiare chi adora questo genere.
Insomma, una bella sorpresa proveniente da un gruppo rimasto sempre in un relativo anonimato, complici le tormentate vicissitudini che portarono al loro scioglimento nel ’92 e ai successivi sette anni di completo silenzio. In seguito la band piazzò sul mercato un full-lenght e un ep, che hanno aperto in maniera egregia la strada a questo quinto lavoro dal titolo Undead.Unholy.Divine.
L’opener “Lambs To The Slaughter” offre ottimi spunti per dare delle coordinate stilistiche. Vengono spontanei i paragoni ai connazionali Sinister e God Dethroned: dei primi l’influenza è palese nella prima parte, più cadenzata e granitica; una versione più grezza e ‘thrash-oriented’ dei secondi è invece predominante nelle strofe più tirate.
Man mano che prosegue l’ascolto emerge tuttavia la personalità del gruppo. I richiami non spariscono, anzi, aumentano; velocissimi stacchi che potrebbero riportare alla mente i The Crown, atmosfere malate che strizzano l’occhi agli acidissimi Abscess (“Eraser“), e la lista potrebbe proseguire a lungo. E questo perchè? Perchè i Thanatos esplorano tutto quel che c’è di buono nel Death Metal odierno e passato, giungendo a darne una lettura purissima e contaminata solo da una manciata di elementi ‘decorativi’.
Molto particolare il cantato di Stephan Gebèdi, forse non apprezzato da tutti per la sua timbrica sforzata, ma, inserito in questo contesto, molto buono. Soprattutto se si considera che all’occasione, come nella cadenzata ed evocativa “The Sign Of Sakado“, il singer sa anche variare tale timbrica e donarle potenza. A seguire un classicissimo pezzo veloce, dal titolo “Servants Of Hatred“, nel quale il gruppo dimostra ancora una volta la propria capacità di comporre ottime canzoni senza dover inventarsi nulla di particolarmente innovativo.
Molte sono le componenti oggettive di questo lavoro: è oggettivamente ben suonato, oggettivamente ben composto, oggettivamente potente, oggettivamente poco innovativo. Dunque è evidente come il potenziale gradimento sia quasi del tutto legato al gusto personale. Sicuramente chi ama il Death Metal di vecchia annata non può rimanere deluso dal lavoro (sempre che non sia particolarmente attaccato alle solite questioni di principio). Per tutti gli altri, un breve ascolto dovrebbe bastare a farvi decidere se proseguire o meno con la scoperta di questo Undead.Unholy.Divine. Nel frattempo il sottoscritto ha trovato altro materiale con cui allietare l’attesa per il nuovo album dei loro cuginetti God Dethroned.
Matteo Bovio