Recensione: Under lock and Key
I Dokken sono uno di quei gruppi per cui si sono sprecate molte parole per inquadrarli in un genere del vasto mondo della musica “dura”: alcuni li hanno definiti gli epigoni del cosiddetto “class metal”, altri come una buona band di hard rock americano e altri ancora come una pop-metal band.
In fin dei conti e guardando la storia di questa band possiamo affermare che questo gruppo sia stato un po’ tutte queste cose assieme. Detto questo per definire la musica dei Dokken utilizzerò l’espressione più comoda ed efficace, ovvero hard’n’heavy. Di sicuro questa definizione risulta opportuna e calzante per l’analisi di uno dei migliori albums del combo statunitense: “Under Lock and Key”. Questo disco, infatti, si pone in una linea di confine tra l’hard rock e l’heavy , con risultati piuttosto convincenti.
La copertina di questo lavoro è molto diretta ed essenziale, oltre che perfettamente rispecchiante i “canoni” estetici del periodo: i quattro membri della band, qui, sono in posa sotto uno sfondo fiammeggiante. Ma passiamo all’analisi del contenuto di questa release.
A dare inizio al platter è l’anthemica “Unchain the night”. Un suggestivo e quasi cupo arpeggio semiacustico introduce al brano, lasciando poi spazio ad un potente riff heavy rock di sicuro impatto. Questo riffing, sostenuto da un drumming cadenzato ma efficace, fa da base alle vocals ben impostate e coinvolgenti di Mr Don Dokken. Già da questa prima song la band dimostra di aver intrapreso una direzione musicale precisa, privilegiando sonorità dirette e potenti. La potenza del brano, ben rappresentata dal bel refrain, è mitigata da un solo melodico e trascinante che aggiunge ulteriore godibilità al pezzo nel suo complesso. La successiva “The Hunter” si caratterizza per un lavoro chitarristico impostato su un riffing più marcatamente hard rock, con in più un gusto per la melodia che non può non conquistare l’orecchio dell’ascoltatore. La voce di Don Dokken anche in questo episodio è trascinante e si innesta perfettamente lungo le linee melodiche del maestoso refrain. Da segnalare la parte solistica che, con eleganza, conferisce alle linee melodiche del brano stesso una certa “riflessività”. La parte coristica gioca un ruolo non irrilevante nella riuscita della seguente “In my dreams”, brano molto piacevole dove il songwriting della band riesce ancora una volta a mantenersi egregiamente in equilibrio tra melodia e potenza hard rock. Molto ben curata anche qui la parte solistica che regala all’ascoltatore un altro momento di grazia esecutiva. Da segnalare la tecnica vocale di Don Dokken, che in alcuni passaggi sembra pagare tributo al grande Klaus Meine (storico singer degli Scorpions). Con “Slippin’ away” il combo mostra il proprio lato romantico e malinconico. Questa song è “deliziosamente” (altro termine è difficile da rintracciare) curata dal punto di vista degli arrangiamenti, prova ne è il riffing elegante e armonioso sul quale si innesta un assolo perfettamente in linea con il tema fondamentale della traccia. Passando a “Lightning strikes again” i Dokken cambiano decisamente pelle alla loro musica , concentrandosi in un riffing duro, potente e in definitiva “hard’n’heavy”. La song è trascinante e, sostenuta da un buon lavoro alla sezione basso/batteria, assicura all’ascoltatore quasi quattro minuti di adrenalina. L’assolo che veloce e preciso si inserisce lungo le linee portanti del brano aumenta la forza d’impatto del brano e la parte vocale, affiancata alla sezione coristica, aggiunge al brano un piglio di aggressività al punto giusto. Un “pizzicato” ci introduce all’ascolto della successiva “It’s not love” ed è un vigoroso riffone hard rock, poi, ad inondare le orecchie. Questo brano si svilupperà lungo tutta la sua durata lungo questo alternarsi di parti più morbide e momenti più “hard”, dove il refrain giocherà il ruolo da “anello di congiunzione” ideale. Non si discute la classe esecutiva in fase d’assolo, ma forse un’articolazione di più lunga durata di questo avrebbe giovato al pezzo stesso. “Jaded heart” riposiziona le coordinate sonore del combo lungo un riffing melodico dalle tinte malinconico riflessive. Tocca, poi, al refrain principale inasprire il tema fondamentale del brano, il tutto impostato secondo una classe esecutiva accattivante. Ormai ci stiamo avvicinando alla fine del disco e una briosa “Don’t lie to me” spezza l’atmosfera “riflessiva” della precedente song. Il brano è ben impostato, ribadendo senza però stupire la qualità compositiva del combo. La penultima “Will the sun rise” si avvale di un riffing più cadenzato, merito di un efficace drumming, ma non per questo meno accattivante, concentrando nuovamente l’attenzione dell’ascoltatore su tematiche musicali in qualche modo introspettive (specialmente nel refrain). In chiusura la veloce e adrenalinica “Till the livin’ end” riporta la band a cimentarsi nella costruzione di riffs rocciosi e di stampo più “heavy metal”. Di sicuro questa song cattura l’attenzione dell’ascoltatore, grazie ad un lavoro batteristico preciso e trascinante e soprattutto grazie ad un assolo che dona ulteriore forza d’impatto al pezzo nel suo insieme.
In conclusione questo “Under Lock and Key” mostra una band in evidente stato di grazia, sia a livello compositivo che dal punto di vista tecnico strumentale, consegnando alla storia dell’hard’n’heavy un altro capitolo degno di nota.
Tracklist:
1. Unchain the Night
2. Hunter
3. In My Dreams
4. Slippin’ Away
5. Lightnin’ Strikes Again
6. It’s Not Love
7. Jaded Heart
8. Don’t Lie to Me
9. Will the Sun Rise?
10. Till the Livin’ End
Line UP:
Mick Brown drums, backing vocals
George Lynch guitars
Don Dokken lead vocals
Jeff Pilson bass, backing vocals