Recensione: Under Stars
Terzo e ultimo capitolo per John Mitchell e la sua saga sul robot solitario che deve tornare a casa. Preciso come un orologio, il terzo episodio del concept Lonely Robot segue di due anni il secondo, che a sua volta aveva seguito di due anni il primo. Cosa farà ora John Mitchell, terminato questo progetto, non è ovviamente dato saperlo. Il meglio, dal nostro punto di vista, sarebbe vederlo tornare ai Kino o ai Frost*, ma staremo a vedere.
Detto questo, ci resta difficile trovare parole per parlare di “Under Stars” (questo il titolo del terzo album). In primis e soprattutto perché abbiamo già avuto in cura gli altri due dischi del progetto, “The big Dream” e “Please come Home”. Qui va detto che i tre album Lonely Robot sono pressoché identici. Prog leggero e molto orecchiabile, dalle durate molto contenute, con un solo pezzo che supera, di pochissimo, i sei minuti. Così dopotutto vuole la tradizione del Mitchell solista (e non solo).
Pur trattandosi di un lavoro valido, diciamo tranquillamente che si potrebbe tranquillamente prendere una delle altre due recensioni e sostituire i titoli delle canzoni contenute in questo terzo album. Non volendo sembrare eccessivamente ingenerosi, ripetiamo che tutti e tre i dischi sono validi e, anzi, “Under Stars” sembra proprio il migliore dei tre.
In effetti, piace molto il riff roccioso/fantascientifico che apre ‘Ancient Ascendant’ e il disco (dopo il rituale intro). Un bel pezzo compatto ed elettrico. Meglio ancora va con ‘Icarus’ e il suo ispiratissimo ritornello, forse il miglior brano tra tutti e tre i dischi. Vice versa, la title track è la classica ballata un po’ troppo mielosa, ma fortunatamente il disco riprende subito quota con i suoni liquidi di ‘Autorship of our Lives’. E così va avanti il disco, tra pezzi più riusciti e altri un po’ meno, con un’ulteriore menzione per ‘The only Time I don’t belong is now’. In ogni caso, pezzi che si somigliano un po’ tutti ma non faticano a restare in testa e a regalare un’ora di prog all’acqua di rose buono, più che buono.
In definitiva, ‘Under Stars’, che pure risulta essere il migliore dei tre dischi targati Lonely Robot, conferma quanto già detto sul Mitchell solista. Un artista indiscutibilmente bravo, con tutti i numeri in regola per sfornare canzoni piacevoli, trascinanti, ottime, ma che tutta via manca di un qualcosa a livello complessivo di album e che dunque si esprime molto meglio in collaborazione con altri artisti, vedasi i già citati Kino e i Frost*. Ed è in effeti di queste band che si spera di sentir parlare quanto prima.