Recensione: Under The Blade
I Twisted Sister sono una delle band storiche e più importanti di tutto il panorama HM. Veri e propri simboli della ribellione e dell’anticonformismo, con uno stile, un look ed un vestiario decisamente “sclerato” e non convenzionale, nati per essere il terrore dei genitori preoccupati per la musica infernale che i loro figli ascoltavano (prima di diventare una brutta copia di se stessi nella metà degli anni ottanta). Nati nel lontanissimo 1973 cambiano ben otto formazioni (JJ French è l’unico reduce della formazione originale) e passano una lunghissima gavetta live per i club americani fino a raggiungere il contratto con la misconosciuta Secret Records e registrare prima una demo chiamata “Ruff Cuts” e poi il loro album di debutto, entrambi nel 1982. La formazione è la seguente: Dee Snider (Voce), JJ French (Chitarra), Eddie “Fingers” Ojeda (Chitarra), Mark “The Animal” Mendoza (Basso) e Joey Brighton (Batteria). L’LP è un blocco inscalfibile d’acciaio che contiene assoluti capolavori della produzione made in Twisted, senza ballad o brani mielensi come faranno in seguito, ma solo puro metallo.
L’opener è una vera scarica di elettricità pura, What You Don’t Know (Sure Can Hurt You), che racchiude in se tutta l’energia live della band, aprendosi esattamente come un live show (non a caso è la prima nella setlist di ogni concerto del gruppo) all’urlo di “Good Evening! Welcome to our show!”. Da questa song possiamo carpire il suono classico della sorella sclerata, un heavy metal puro, dritto in faccia all’ascoltatore e con influenze sia di tipo prettamente british (C’è una forta influenza Priestiana), sia hard rock (Kiss su tutti). Ed il lato hard rock del quintetto viene messa in risalto nel successivo brano, Bad Boys Of Rock And Roll, che nonostante il titolo piuttosto minaccioso, è una canzone dal bellissimo riff melodico e dal ritornello molto catchy ed “americano”, molto divertente da ascoltare, ma non una perla come il resto del disco, forse il punto più debole. La successiva Run For Your Lives inizia in modo molto pacato e calmo, facendoci pensare ad una ballad, ma presto esplode in un pezzo di puro HM su cui scapocciare come dei dannati. La voce di Dee qui sa essere sia melodica che dannatamente grezza e ruvida, e tutta la band ci dimostra (come in ogni pezzo del disco) di sapere suonare bene, con classe e grinta, e di non essere dei buffoni con il viso pitturato, ma dei musicisti il cui cuore appartiene al rock and roll. Decisamente ispirata ai metal gods (a partire dal titolo) è la successiva Sin After Sin, una coinvolgente fast song dai riff stupendi (la coppia chitarristica ci regala un axework davvero superbo) e dalle ritmiche serrate, con una prestazione di Dee molto teatrale e minacciosa. Leggermente disctubile l’uso di voci modificate in alcuni frangenti della canzone ma non mette in discussione di certo la bellezza di questo brano. Molto in stile AC/DC è Shoot Em Down, un irresistibile party rocker dai riff fottutamente rocciosi e dal ritornello da gridare a squarcia gola; straordinario l’assolo di JJ French. Di tutt’altro stampo la traccia numero sei, un capolavoro assoluto della band, Destroyer, una canzone dalla fortissima ispirazione Sabbathiana, dalla pesantezza quasi doom ,dall’andamento minaccioso e dal ritornello splendidamente epico e malvagio. Riff semplici ma che schiacciano qualsiasi cosa nel loro cammino, un Dee assolutamente unico (la sua voce è una delle più caratteristiche del metal) ed, a mio avviso, il migliore assolo del platter. La title track, Under The Blade, è una delle mie song preferite. Assoluta pietra miliare della nostra musica, inizia in modo molto “horrorifico”, con una distorsione di chitarra davvero inquietante, e si evolve in un fiammegiante ed esplosivo brano di heavy metal veloce, grezzo, potente e sanguigno. Decisamente evidente lo zampino dei Priest (i versi iniziali a glint of steel, a flash of light vi dicono niente?) in quasi tutta la composizione, piuttosto varia nel suo insieme; canzone per soli headbangers convinti. Vagamente Motorheaddiana con il suo terremotante intro di batteria irrompe Tear It Loose perla di puro acciaio, veloce e scatenata come solo poche song sanno fare. Possiede un ritornello che live si rivela davvero coinvolgente, ottimo il dialogo centrale fra le due chitarre, sembra quasi che una voglia sopraffare l’altra. la traccia nove è una bonus track introdotta nella ristampa dell’Atlantic del 1985, ed è estratta da un singolo di pubblicazione successiva a questo album, I’ll Never Grow Up, Now, una canzone che ricorda da vicino il punk rock, sia dal punto di vista del cantato, sia (specialmente) nel riff; molto divertente e piacevole. la closer si distacca nettamente dal resto delle altre composizioni, si chiama Day Of The Rocker ed è una canzone molto lenta e bluesy, nella sua atipicità una delle più speciali. Degna di nota la prova al basso di Mark Mendoza e l’assolo blues veramente da ammirare, ottima in generale la prova di tutti i componenti.
Questo capolavoro, secondo me, è secondo solo a Stay Hungry, più ragionato e vario, e rimane una delle pietre miliari della musica più bella del mondo che resiste al test del tempo rimanendo sempre un album divertentissimo da ascoltare. Da avere per provare la follia della sorella sclerata! e da sparare a tutto volume come vorebbe Dee Snider… Play it loud mutha!