Recensione: Under the Knife
Mica male questo ‘Under the Knife’, secondo album degli americani Eugenic Death, pubblicato dalla Heaven anf Hell Records e sul mercato dal 15 marzo 2019.
Un sound che mescola tecnica a furia viva, senza creare nulla di nuovo nella realtà, ma dando vita ad ottime tracce che spaziano un po’ per tutto quello che è il Thrash, soprattutto quello della prima era.
Come sempre la parte debole è la voce, corposa e cruda ma terribilmente monocorde e uguale a tante altre, sembra quasi che le corde vocali di questi cantanti, che somigliano un po’ a Max Cavalera, citato solo per dare un’idea della timbrica, vengano fatte con lo stampino e poi via … tutti a far Thrash, come se il cantato possa passare in secondo piano. Pazienza, mettiamo da parte la polemica: l’interpretazione c’è e la comunicazione della rabbia pure, per cui l’essenza di questo genere, che mette i ‘puntini sulle i’ per criticare aspramente quello che non va, non manca.
La chitarra solista compensa dove non riesce la voce, con elementi melodici quanto tecnici che vengono inseriti sempre nel punto giusto. Assoli lunghi, brevi, introdotti da serrati interludi od improvvisi, che accompagnano le strofe, veloci o cadenzati: se ne trovano un po’ di tutti i tipi a dimostrazione di una buona preparazione e del sapere sviluppare positivamente le proprie idee.
La sezione ritmica chiude con forza il discorso: corposa, irruenta ed aggressiva distende dei bei cazzotti, sia quando gli Eugenic Death tirano alla spasimo, sia quando tendono ad essere più orecchiabili.
L’album è composto da sette pezzi, alcuni di discreta lunghezza.
Il primo, dal titolo ‘Indoctrinate’ è potente ed energico senza essere troppo estremo, con un interludio cadenzato parecchio coinvolgente.
Al contrario, il secondo ‘The Citizen Patrol’ è una mazzata veloce che strina.
Il terzo ‘The Devil’s Tower’ dimostra la versatilità del combo: su circa sei minuti e mezzo totali i primi due sono un tempo medio strumentale coinvolgente, poi il pezzo cambia totalmente e diventa un Thrash veloce, a tratti spasmodico, con un inaspettato assolo che s’interseca nel refrain.
Con ‘Witching Ground’ i ritmi cambiano di nuovo: è il tempo medio a dominare, con buoni cori che rendono avvincente il refrain.
Poi la sorpresa, qualcosa che non ci si aspetta all’interno di un disco Thrash se non come elemento introduttivo, mentre questo è un brano specifico di quasi cinque minuti: ‘Hara Shiva’, ha la forma sinuosa di un canto popolare indiano, con tanto di sitar, o strumento similare e voce femminile ammaliante e ridondante. A dir la verità al sottoscritto questo brano dice poco, ma qui è veramente una questione di gusti; dimostra comunque il coraggio della band nel proporre qualcosa di nuovo e fuori da ogni contesto dell’album e dello stile suonato.
Il Thrash riprende con ‘Aghori Sadhus’ furiosa, pestata e spietata con un finale allucinogeno e la conclusiva ‘Under the Knife’, esaltante, veloce e potente; il pezzo si chiude con un arpeggio che suona come si stesse ascoltando un vecchio disco che gira su una puntina che raschia: il presente rispetta il passato.
Concludendo: un album con qualche sbavatura ma comunque intenso, vario e che colpisce. Tante buone idee racchiuse in neanche quaranta minuti che mettono in luce le potenzialità di una band che speriamo continui a percorrere la propria strada. Bravi Eugenic Death!!!