Recensione: Under The Midnight Sun
La discografia dei The Cult registra con “Under The Midnight Sun” il raggiungimento del numero undici.
L’importanza del numero maestro, attraverso cui l’Universo consegna messaggi di rilevante importanza, che simboleggia percezione, intuizione e saggezza, è debitamente sottolineato dalla presenza, in basso a sinistra nell’immagine di copertina, del relativo omologo romano. La scelta non è certamente dettata dal timore che non si riesca a tenere correttamente il conto del totale degli album pubblicati.
La copertina ritrae su sfondo nero un serpente (il cui veleno può donare l’espansione della coscienza e che rappresenta la rinascita), di colore rosso, in movimento sotto il “sole di mezzanotte”.
Il surreale fenomeno astronomico, visibile in determinati periodi dell’anno dalle regioni polari, durante il quale l’astro si mantiene, sopra l’orizzonte, anzichè tramontare e sorgere, è stato osservato dalla band in Finlandia, in occasione del festival Provinssirock nel 1986.
L’affascinante esperienza ha ispirato la scaletta di otto brani proposta nell’odieno platter, che giunge dopo sei anni dall’eterogeneo “Hidden City”.
“Under The Midnight Sun” non è direttamente raffrontabile con la miscela di rock psichedelico e gotico dei primi due album, né ha l’energia forsennata degli sparuti accordi di “Electric”.
Non ha neppure come obiettivo quello di riproporre i fasti hard rock di “Sonic Temple”, ma offre, mediante sonorità coerenti, tutto quello che ha portato i The Cult ad essere amati e fedelmente seguiti per quasi quattro decenni: calore, forza, mistero, e testi belli e profondi.
D’accordo non vi sono nel disco quei riff dirompenti ai quali la Gretsch di Billy Duffy ci ha abituato nel corso degli anni, ma il chitarrista fa, come sempre, il suo, offrendo fraseggi ispirati e suggestivi che fanno da contraltare alle altrettanto consuete liriche mistiche del cantante-sciamano Ian Astbury. Appassionato e studioso della cultura nativa americana, discepolo psicoattivo per affinità elettiva di “Mr. Mojo Risin’”, al secolo James Douglas Morrison, che delle esperienze acquisite attraversando le porte della percezione fu il profeta, è la figura e la voce del cantante britannico a essere in primo piano nel nuovo album. “Under The Midnight Sun”, infatti, è un viaggio che ha per destinazione il risveglio e trova in Astbury il suo naturale psicopompo.
Alla probabile affermazione “I Cult sono morti con Seventh Son” del simpatico utente di siti musicali che, in preda a delirio cronico da sindrome del vecchio metallaro, ripropone, mediante il solo cambio del nome dell’artista protagonista di ciascuna nuova uscita, il proprio immutabile commento, coniato per gli Iron Maiden, rispondo che, lungi dall’essere finiti, i The Cult restano vivi e vitali e hanno ancora qualcosa da dire e da dare.
Le tracce di “Under The Midnight Sun” sono boccioli che, man mano che si procede ad ulteriori ascolti, si schiudono e rivelano fragranza esoterica e gradevole bellezza, offrendo una tanto semplice, quanto ignorata verità: solo raggiungendo l’equilibrio con la natura e con il mondo soprannaturale è possibile vivere in armoniosa serenità, come ci siamo, purtroppo, disabituati a fare.
Le sonorità dell’album, intrise di luci oscure e sfumature new wave, costituiscono l’ideale congiunzione tra quelle degli esordi di “Dreamtime” (1984), con pezzi come “Mirror” o “Cut Inside”, e quelle della maturità artistica, raggiunta con “Choice of Weapon” (2012), con tracce quali “Knife Through Butterfly Heart” e ”Under The Midnight Sun”, title track che chiude l’album.
Sotto l’esperta guida di Astbury, aprendo il cuore al potere delle vibrazioni di “Under The Midnight Sun”, sarà possibile, lasciati alle spalle fantasmi e inquietudini, ritrovarsi a godere della luce della conoscenza…