Recensione: Under The Sign Of The Iron Cross
«The book “In Stahlgewittern” (Storm of Steel) by Ernst Jünger is an explicit diary entailing the depth of his personal daily experiences in the trenches during WW1. The intensity of the diary is what this song is based upon»
Gli olandesi, così afferma la Storia, hanno sempre avuto una vita piuttosto difficile nel rapporto con i cugini tedeschi. Non a caso, per entrare più a fondo negli orrori della Grande Guerra (1914 ÷ 1918), i God Dethroned s’ispirano a Ernst Jünger (1895 ÷ 1998), scrittore e filosofo teutonico – decorato fra l’altro con la celebre Croce di Ferro (1917) – , e a una delle sue pubblicazioni: “Nelle tempeste di acciaio” (1925).
“Under The Sign Of The Iron Cross” è il nono full-length di una carriera lunga vent’anni, contrassegnata da uno stop and go (1993 ÷ 1996) e da numerosi cambi di line-up; l’ultimo dei quali ha portato Danny Tunker (Prostitute Disfigurement, Detonation, Fuelblooded) a imbracciare la seconda chitarra così da fare il paio con quella di Henri “T.S.K.” Sattler, anima e cuore – da sempre – dell’act di Beilen.
Poiché la produzione passata dei Nostri è stata, spesso, incentrata su un approccio musicale nel quale la melodia non era per nulla esclusa, proprio l’innesto del nuovo chitarrista potrebbe aver determinato una specie di ritorno alle origini da parte del combo della Drenthe. Non saprei spiegare, altrimenti, la violentissima impronta caratteristica del death classico che è stata stampata sul disco. Non per altro si possono trovare, qua e là, echi di Behemoth, Dismember, Possessed. Con questo non significa che sia in atto un dejà-vu. Anzi il suono, terribilmente massiccio, ha una regolarità di rara consistenza; determinando un sound caratteristico anche se non particolarmente né originale né innovativo. La rinuncia – non completa – a certe armonizzazioni che, in qualche modo, hanno reso lo stile dei God Dethroned più tipico rispetto alla massa, ha portato a una leggera spersonalizzazione dello stile medesimo. Rovesciando la medaglia, l’altro risultato consiste in un inasprimento e potenziamento dell’impatto musicale, davvero devastante, ora. L’incedere è velocissimo e distruttivo. Inarrestabile, non a caso, come un assalto di carri armati e d’artiglieria pesante.
Il drammatico intro “The Declaration Of War” c’introduce sin da subito nelle gelide atmosfere militari dipinte a tinte fosche da Sattler & Co.; incipit che, come una bruma impenetrabile, rappresenterà costantemente il mood crepuscolare del platter. Il primo assalto è “Storm Of Steel”, una deflagrante bomba che spazza via ogni indugio. Il monumentale riff portante della canzone si schianta nel cervello per non uscirne più. Miriadi di schegge impazzite si spargono ovunque: davvero impressionante, il suono dei God Dethroned. L’intensità è ai massimi livelli ma, e qui si sente l’esperienza dei musicisti mitteleuropei, l’ordine e la pulizia regnano sovrani. Spaventoso il secondo attacco: “Fire Storm”, che fa pienamente fede al nome. Un altro gigantesco main-riff (prestare attenzione, il suo giro iniziale ha l’incedere tipico dei Bathory-fase black) sostiene il brano, accelerato da sfuriate di blast-beats per raggiungere il più velocemente possibile un altro istante che non si dimenticherà facilmente: il ritornello.
«Fire storm, fire storm, fire storm, fire storm
Incredible massing of forces
In the hour of destiny
To fight for a distant future
And the violence it unleashed»
C’è poi lo spazio per raccogliere i cocci dopo lo sfacelo provocato dal tornado “The Killing Is Faceless” per giungere alla title-track, piccolo capolavoro. Il suo tono doloroso sembra quasi accompagnare la sofferenza di ogni uomo in guerra. I blast-beats travolgono tutto e tutti, il guitarwork è ad alzo zero (un po’ ricorda i mai troppo considerati Zyklon di Samoth) per azzeccare un clamoroso giro melodico in occasione del refrain, cantato in clean. Stupenda la parte finale, sinfonica. E la melodia fa di nuovo capolino in “Chaos Reigns At Dawn”, dall’atmosfera notevolmente meno plumbea rispetto a quella della canzone precedente. Le velocissime “Through Byzantine Hemispheres” e “The Red Baron” (guitar-solo da non perdere) ci trasportano rapidamente alla suite finale, “On Fields Of Death & Desolation”. Una lunga cavalcata nei campi di battaglia, quando essa è ormai terminata. Melanconico e articolato, nonché cupo e plumbeo, il brano segna in modo degno – in riferimento alla qualità del songwriting di tutti gli altri singoli episodi – la fine del concept-album dei God Dethroned.
“Under The Sign Of The Iron Cross” è uno dei migliori album di death metal «puro» di quest’anno. La non eccelsa originalità dello stile è ampiamente compensata dall’elevatissimo livello compositivo. Nove canzoni impeccabilmente strutturate, alcune delle quali, davvero, indimenticabili.
Un album che non può mancare, nella collezione di un deathster come si deve!
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. The Declaration Of War 0:57
2. Storm Of Steel 3:41
3. Fire Storm 3:09
4. The Killing Is Faceless 4:54
5. Under The Sign Of The Iron Cross 5:15
6. Chaos Reigns At Dawn 4:05
7. Through Byzantine Hemispheres 3:04
8. The Red Baron 3:51
9. On Fields Of Death & Desolation 7:29
All tracks 36 min. ca.
Line-up:
Henri “T.S.K.” Sattler – Vocals & lead guitars
Henk “Henke” Zinger – Bass
Michiel “Mike” vd Plicht – Drums
Danny Tunker – Guitars