Recensione: Underwater Bells Pt.2: October 9th 1963 Act.I

Di Marco Donè - 3 Febbraio 2020 - 0:01
Underwater Bells Pt.2: October 9th 1963 Act.I
Band: Revoltons
Genere: Power 
Anno: 2020
Nazione:
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75

A distanza di otto anni dall’ultimo “386 High Street North: Come Back to Eternity” tornano in scena i friulani Revoltons, una band dal grande potenziale che, purtroppo, ha raccolto molto meno di quanto realmente meritato.
I Nostri hanno iniziato la loro carriera nel 2003, con un prestigioso contratto con Limb Schnoor, che fece presagire a un roseo futuro per la formazione di Vajont. Purtroppo, a causa di una line-up tutt’altro che stabile, la band capitanata da Alex Corona non riuscì a sfruttare al meglio il treno su cui era salita.
Dopo una serie interminabile di cambi di formazione, nel 2009, i Revoltons riuscivano a trovare l’agognata stabilità e davano alle stampe “Underwater Bells”, un disco ispirato, violento e melodico; un lavoro in cui heavy e power metal si combinavano in una chiave di lettura “moderna”, al passo con i tempi, sfornando un album senza punti deboli. A seguito di quel disco ci si aspettava che i Revoltons potessero reclamare e finalmente conquistare quanto gli spettava, ma il destino fu invece un altro: alcune divergenze di vedute sfaldarono quella formazione, stroncando sul nascere quello che la band avrebbe potuto diventare.

Come nelle migliori favole, però, a distanza di dieci anni, quella stessa line-up decide di riprovarci, di riunirsi di nuovo sotto il monicker Revoltons e registrare un “Underwater Bells pt. II”. C’è un solo cambio rispetto al disco del 2009, alla batteria, dove il combo di Vajont decide di puntare su Stefano Rumich che, all’epoca, aveva preso parte al tour di supporto di “Underwater Bells”. L’idea è sicuramente ambiziosa, e i Nostri iniziano subito a comporre “Underwater Bells pt. II”, dando vita a un concept album strutturato in due atti, incentrato sulla tragedia del Vajont.
Il primo atto, che ci troviamo a curare in queste righe, parla degli avvenimenti che portarono alla tragedia, parla di quel maledetto 9 ottobre 1963. Lo fa attraverso la voce dei protagonisti della storia, descrivendo quei drammatici istanti, le paure di tutte quelle persone che sono state tradite da chi sapeva e non ha fatto nulla per evitare un simile epilogo.
Il secondo atto racconterà ciò che avvenne dopo il disastro, la ripresa della vita nelle città distrutte e ferite da quei tragici eventi. Racconterà come quella catastrofe abbia segnato i cuori degli abitanti di quelle terre e dei loro figli.
Durante le fasi di composizione, però, le divergenze di visione che abbiamo citato in precedenza riaffiorarono e qualcuno decise di abbandonare il progetto. Della line-up del 2009, a dare continuità con il passato, troviamo così i fratelli Corona, alle chitarre, e il bassista Roberto Sarcina.
Alla voce, per la prima volta nella storia dei Revoltons, non troviamo Andro, ma il nuovo innesto Andras Csaszar, mentre alla batteria, dopo l’abbandono di Rumich, i Nostri decidono di affidare le pelli a Ivan Moni Bidin, batterista degli Ashent ed ex Pathosray, che aiuterà la band nelle registrazioni, per poi lasciare il posto a Elvis Ortolan, ex Elvenking.

Underwater Bells Pt.II: October 9th 1963 Act.I”, questo il titolo dell’album, recupera in pieno lo stile del primo “Underwater Bells”, risultando, forse, un po’ meno diretto e furioso. Il concept è molto profondo e le musiche non possono che seguirne i sentimenti e le dinamiche, puntando più sullo spessore emotivo, che sulla rabbia. Come da tradizione in casa Revoltons, il disco poggia sul lavoro maniacale delle chitarre dei fratelli Corona che, in base alle esigenze della storia e delle canzoni, sanno essere taglienti e graffianti, ma anche suadenti e delicate. Il guitarwork è ben supportato da una sezione ritmica precisa e martellante, ricca di dinamica, che impreziosisce le varie composizioni. Degna di nota anche la prova al microfono di Andras Csaszar: sostituire Andro non era sicuramente cosa facile, ma lui c’è riuscito egregiamente. Timbrica e stile sono similari allo storico cantante della band di Vajont, e forse questo ha reso più agevole il suo ingresso nei meccanismi della compagine friulana.
Con quest’album la band continua il percorso che aveva deciso di intraprendere nel 2009, con quel mix di heavy e power, riletto in chiave “moderna”. Fanno inoltre capolino elementi prog, come accade in ‘Mary and the Children’, uno degli highlight del disco, dove si respirano atmosfere che riportano alla mente i Dream Theater. Visto il delicato argomento trattato e la necessità di trasmettere emozioni forti, il buon Alex Corona ricorre all’uso di alcuni arpeggi, che richiamano da vicino lo spirito dei Queensrÿche del periodo “Operation: Mindicrime”, un animo che si respira anche in alcuni assoli. Un chiaro esempio di quanto appena scritto è ‘October 9th 1963’, nel cui finale compaiono delle registrazioni dell’epoca, dove con esempi chiari e semplici vengono spiegate le dinamiche di quella tragica nottata.
Da citare anche la bellissima ‘Erase! New Erarth Lord!’, semi ballad in classico Revoltons style, dove fanno bella mostra di sé quegli arpeggi citati poco sopra e un ritornello ricco di melodia, per una canzone che alterna atmosfere ora cariche di malinconia, ora di speranza.
Molti sono gli ospiti di cui i Revoltons si sono avvalsi per realizzare questa prima parte del doppio concept, musicisti che provengono quasi tutti da Veneto e Friuli, le due regioni ferite e tradite dal tragico evento del 1963. Ecco quindi comparire Michele Guaitoli e Alessia Scolletti dei Temperance, Aydan e Raphael degli Elvenking, Alberto Da Rech dei Delirium X Tremens giusto per citare qualche nome, fino ad arrivare all’ospite clou, quel Blaze Bayley che con la sua inconfondibile voce compare nella cupa e maideniana suite ‘Grandmasters of Death’, nel cui finale c’è un richiamo alla title track del disco del 2009.

Underwater Bells Pt.II: October 9th 1963 Act.I” si rivela un album curato e ricercato, come i Revoltons ci hanno sempre abituato nella loro carriera, un degno successore del seminale “Underwater Bells”. È un lavoro che può contare su una produzione al passo con i tempi, dotata però di un certo flavour rétro che ben si sposa con la proposta della band. Se proprio volessimo muovere una critica alla scelta dei suoni, la faremmo alle chitarre, che avrebbero forse meritato di essere più “grosse”. Poco importa, il disco esprime una qualità media elevata, risulta affascinate e coinvolgente, possiamo tranquillamente chiudere un occhio su questo aspetto. Certo, rispetto all’album del 2009 mancano forse un paio di pezzi killer, quelli che entrano in testa per non uscirne più, ma come più volte ripetuto in sede di analisi, l’argomento trattato nel concept ha chiesto un approccio diverso. L’album risulta più profondo, un lavoro che va ascoltato dall’inizio alla fine e per questo acquista fascino con gli ascolti. Poc’altro da dire: nell’attesa del secondo atto, godiamoci “Underwater Bells Pt.II: October 9th 1963 Act.I”. Ben tornati, Revoltons!

Marco Donè

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